Il maratoneta per FedEmo: “Fare attività fisica è un toccasana, bisognerebbe cambiare le regole anche nella medicina sportiva”
Parma - “La maratona di New York è la ‘maratona delle maratone’, è un evento mondiale, e non avrei mai immaginato, a 51 anni, di arrivare a correrla tutta. È stato emozionante, quasi da mettersi a piangere una volta finita la gara. Mi sono sentito come un bambino quando vede di persona il suo idolo…” L’entusiasmo di Luca Montagna nel raccontare la sua esperienza di emofilico alla Maratona di New York 2015 è contagioso.
Luca ha corso i 42 km della Grande Mela grazie a un progetto realizzato da FedEmo, Federazione delle Associazioni Emofilici Onlus, che ha offerto agli atleti allenamenti sotto stretta supervisione medica e supporto costante.
“Sono rimasto soddisfatto anche della mia condizione fisica molto buona, resa possibile anche dagli allenamenti a cui mi sono sottoposto volentieri per partecipare a questo progetto organizzato da Fedemo, cominciato due anni fa. Io comunque anche prima cercavo di mantenermi in forma, praticavo sport a livello amatoriale. Per questo mi è stato chiesto se volevo partecipare al progetto. Ho accettato di sottopormi a tutti gli allenamenti perché mi sembrava un’impresa che avrei potuto sostenere. Insieme ai miei compagni di esperienza ho seguito delle tabelle di allenamento sempre più complicate, soprattutto negli ultimi 6 mesi. Mi è costato sacrificio, ad esempio quest’estate ogni mattina alle 6 partivo per andare a correre. E sono arrivato a New York pronto per la sfida! I rischi maggiori riguardavano gli infortuni, eventuali problemi muscolari, alle articolazioni, alle ginocchia, alle caviglie, ma fortunatamente non ho avuto difficoltà. Ho applicato sempre alla lettera le tabelle per gli allenamenti, per fortificare muscolatura, ed è andato tutto bene.”
“Ci tenevamo parecchio alla maratona – spiega ancora Luca - anche per sdoganare il luogo comune che un emofilico non può praticare sport. Niente di più sbagliato e consiglio a tutti, soprattutto ai giovani affetti da questa patologia, di praticarlo, in modo controllato. Nell’ambito della medicina dello sport le regole sono ancora vecchie. Se un ragazzo emofilico volesse oggi intraprendere la carriera da sportivo, verrebbe sistematicamente fermato perché non riceverebbe un certificato agonistico. L’emofilia viene automaticamente esclusa dall’agonismo e questo crea, al di là dell’aspetto umano e psicologico, un vero e proprio problema sociale. Un evento eclatante come quello della maratona di New York significa anche cambiare le regole in questo ambito, perché fare sport fa bene, a tutti.”
“Su questo argomento – prosegue il maratoneta - con Fedemo abbiamo partecipato anche alla Giornata Mondiale dell’emofilia a Roma che era proprio dedicata al tema dello sport. Quando siamo partiti con il progetto volevamo appunto dimostrare che fare sport con l’emofilia è una buona prassi, fortifica le ossa, la muscolatura: insomma, fare sport con emofilia si può. Anche perché oggi i trattamenti per affrontare la situazione sono migliorati. Vent’anni fa, infatti in Italia le terapie di oggi non erano nemmeno immaginabili, a livello farmacologico sono stati fatti passi da gigante. Un tempo si usavano le infusioni, che erano frequenti anche nell’arco di una giornata e causavano pure un disagio psicologico. Oggi invece sono disponibili dei farmaci ‘long-active’, che garantiscono una copertura di oltre 15 giorni. Non solo, mentre prima le infusioni erano ‘on demand’, effettuate nel momento del bisogno, oggi – soprattutto tra i giovani, che hanno una vita più “attiva” e movimentata – si ricorre a una terapia di profilassi, che permette di mantenere un elevato fattore di coagulazione nel sangue, prevenendo quindi i rischi di emorragie, infortuni, danni alle articolazioni.”
“Io fortunatamente – racconta ancora l’atleta - ho un’emofilia di tipo lieve. Ho scoperto di averla da bambino, durante l’estrazione delle tonsille: il sanguinamento copioso durante l’operazione aveva destato preoccupazione… Da lì sono cominciate le indagini genetiche e le terapie a base di plasma, non esistevano ancora gli emoderivati. Fortunatamente le cose sono cambiate moltissimo.”
Luca conclude la sua testimonianza con un messaggio: “L’emofilia non è contagiosa, sebbene sia sempre stata trattata dalla gente come se lo fosse, non crea nessun disagio al prossimo e le persone che ne sono affette non devono più essere discriminate. Oggi è curabile e si può vivere una vita normale. Un tempo era una malattia sconosciuta e veniva presa come una cosa molto brutta, portava emarginazione e non si raccontava in giro. Invece bisogna parlarne: più se ne parla e più si crea consapevolezza. Per quanto mi riguarda – conclude sorridendo - credo che continuerò a correre, anche se le altre location non potranno mai essere all’altezza di New York!”.
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