Un accumulo di fenilalanina per mutazione del gene della fenilalanina idrossilasi, l’enzima che converte l’aminoacido essenziale fenilalanina in tirosina. È da questo problema che origina la fenilchetonuria (PKU), malattia genetica ereditaria che si trasmette in maniera autosomica recessiva, per cui i genitori sono portatori sani della malattia, mentre i figli hanno il 25% di probabilità di nascere malati.
“La fenilchetonuria, che una volta veniva chiamata oligofrenia, cioè malattia accompagnata da danno neurologico gravissimo con convulsioni e ritardo mentale, oggi ha un’evoluzione diversa: infatti, i pazienti con fenilchetonuria possono raggiungere una qualità di vita buona, e obiettivi di studio e di lavoro normali”, spiega il dr. Alberto Burlina, direttore dell’Unità Operativa Complessa Malattie Metaboliche Ereditarie presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova e del Centro Regionale Malattie Metaboliche Ereditarie della Regione Veneto.
“Grazie allo screening neonatale, abbiamo assistito una vera rivoluzione nell’ambito della medicina e, in particolare, delle malattie metaboliche ereditarie e, quindi, anche della fenilchetonuria”, prosegue Burlina. Per diagnosticare, già nei primi giorni di vita, l’assenza o carenza di fenilalanina idrossilasi esiste un test, inserito all’interno dello screening neonatale esteso denominato test di Guthrie (o altro test analogo), che prevede il prelievo di una goccia di sangue dal neonato. Nelle famiglie a rischio, e nel caso in cui si conoscano le mutazioni coinvolte, è possibile effettuare una diagnosi prenatale mediante analisi genetica. “Con lo screening noi possiamo diagnosticare la malattia nei primi giorni di vita e iniziare in maniera molto precoce la terapia. Iniziare la terapia vuol dire cambiare la storia naturale della malattia”, precisa Burlina.
Nonostante ciò, restano ancora dei problemi da affrontare, come la scarsa aderenza al trattamento negli adolescenti. “E’ un problema fisiologico – chiarisce l'esperto – perché durante l’adolescenza c’è la 'non-aderenza' a tutto e, quindi, anche a terapie che vengono somministrate per molto tempo. E’ un problema che va affrontato, perché se il paziente con fenilchetonuria smette la dieta, c’è il rischio che la malattia ritorni ad essere grave dal punto di vista neurologico”.
Fortunatamente, negli ultimi anni si è osservata un’enorme rivoluzione nella dietoterapia: i prodotti ora sono palatabili, vengono utilizzati in maniera migliore e permettono un lento rilascio degli amminoacidi, in maniera da sostituire efficacemente il ridotto apporto di proteine con un assorbimento che è quasi fisiologicamente normale. Anche il packaging è cambiato, per cui oggi abbiamo a disposizione delle mono-somministrazioni in bustine che sono facilmente trasportabili, concentrate (quindi in quantità ridotte rispetto al passato) e solubili in acqua, offrendo un assorbimento migliore rispetto alle grandi quantità delle miscele precedentemente utilizzate. Tutto ciò migliora la qualità di vita e apporta un beneficio per l’organismo, grazie a una concentrazione costante di proteine nell’arco della giornata.
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