Il racconto di Sara, associata di AIP, Associazione Immunodeficienze Primitive
La sindrome da attivazione di PI3K-delta, o APDS, è una rara forma di immunodeficienza primitiva, una malattia genetica che, fin dalla nascita, altera il funzionamento del sistema immunitario. I sintomi possono variare notevolmente, da lievi a molto gravi, e spesso si manifestano già nella prima infanzia con otiti, infezioni sinusali e polmoniti. Non meno comuni sono le infezioni virali, inclusi gli herpes virus, e altre problematiche come l'ingrossamento di linfonodi, fegato o milza, infiammazioni intestinali, infezioni della pelle, ritardi nella crescita e nello sviluppo neurologico.
Un aspetto particolarmente complesso dell'APDS è l'autoimmunità, una condizione in cui il sistema immunitario attacca per errore le proprie cellule sane, causando danni significativi a organi e tessuti. Lo scenario più grave per i pazienti con APDS è la comparsa di un linfoma, con un'incidenza che, stando ai dati disponibili, raggiunge il 78%. Con la testimonianza di Sara cerchiamo di capire le sfide, le speranze e la forza necessarie per affrontare una malattia così complessa.
Come è arrivata la diagnosi di APDS?
“Avevo solo 6 anni quando ho iniziato le terapie per una serie di sintomi ricorrenti, principalmente otiti e congiuntiviti. Fortunatamente vivevo vicino all'Ospedale Bambino Gesù di Roma, una vicinanza che si è rivelata decisiva. I medici, intuendo già allora il rischio di linfoproliferazione, hanno subito avviato una terapia con infusioni di monoclonali, nonostante mancasse una diagnosi precisa. La terapia si è rivelata efficace, grazie soprattutto alla lungimiranza clinica del team medico. All'inizio, però, nessuno parlava ancora di immunodeficienza. Mi avevano dato un'altra diagnosi, un'altra definizione clinica. Nel 2017 è arrivata la diagnosi di linfoma non Hodgkin. A quel punto, mi hanno comunicato che avevano individuato una mutazione genetica, ma senza specificare a quale immunodeficienza fosse collegata. Solo circa un anno e mezzo fa, leggendo per caso un opuscolo dell'associazione AIP, ho scoperto che la mia condizione era la APDS. Prima di allora, mi avevano parlato soltanto di una sindrome da iperimmunoglobulinemia”.
Questo ha cambiato il percorso clinico, la cura?
“Le infusioni di immunoglobuline sono rimaste le stesse, ma la percezione del mio problema è cambiata. Poiché la linfoproliferazione si è riattivata, oggi il protocollo ematologico standard prevedrebbe il trapianto di cellule staminali. Nel mio caso, però, con la APDS, questa soluzione non è indicata perché non vi è certezza che il trapianto sia efficace e sicuro. Per questo motivo stiamo seguendo un altro tipo di terapia. Ora sono seguita al Policlinico Umberto I di Roma, un centro di riferimento regionale per le immunodeficienze del Lazio. Le terapie in questo momento sono molte e impegnative. Non posso più sottopormi a chemioterapia e resta sempre il dubbio se la mia condizione sia una patologia puramente ematologica o una conseguenza diretta del difetto genetico della APDS, quindi legata all’immunoproliferazione. Al momento, attendiamo ancora i risultati dell’esame istologico per capire meglio la situazione”.
Cosa significa convivere con la sindrome di attivazione di PI3K-delta?
“L’APDS cambia molto la vita quotidiana. Me ne sono resa conto soprattutto durante la pandemia. La mia dottoressa mi ha detto una frase che mi ha profondamente colpita: ‘hai imparato la resilienza, cioè sapersi adattare in situazioni di difficoltà’. Per me, situazioni che per altri sarebbero insormontabili diventano ostacoli da affrontare, trovando strategie alternative. Quello che per altre persone è inconcepibile, per me si trasforma in un semplice ‘mi adatto’. Dal punto di vista psicologico non mi sento diversa, ma percepisco la realtà in modo differente. Certamente ci sono momenti complicati, come i problemi intestinali frequenti o le difficoltà di equilibrio e ansia nelle situazioni sociali. In questi casi devo gestire le mie emozioni e adattarmi, anche perché chi mi sta intorno, non sempre comprende le mie reazioni. Sto seguendo un percorso psicologico, indispensabile per affrontare non solo il mio rapporto con me stessa, ma anche quello con gli altri. Faccio un esempio. Spesso chi mi vede con congiuntiviti frequenti, anche molto aggressive, si spaventa, mentre io cerco di comportarmi normalmente. Per evitare di creare disagio, a volte mi chiudo in me stessa. Vivo in un equilibrio molto delicato, come una funambula che cammina su un filo senza rete di protezione, cercando sempre di vivere al meglio la mia vita, nonostante una continua sensazione di allarme. È come vivere sotto bombardamento costante, ma riuscire comunque a trovare un fiore tra le pietre”.
La diagnosi di APDS è compatibile con una vita lavorativa "normale"?
“Il mondo del lavoro è un'altra grande sfida. Ho enormi difficoltà, perché con una condizione come la mia essere assunta è molto complicato. Attualmente sono coinvolta in una causa perché, nonostante avessi vinto un concorso per categorie protette, la graduatoria è stata chiusa. Non so ancora come finirà, ma spesso il diritto al lavoro appare come una chimera, una sfida nella sfida”.
Cosa si sente di dire a una ragazza che riceve una diagnosi di APDS?
“Le direi che è fondamentale imparare a vedere la vita da una nuova prospettiva. Ogni cosa può essere affrontata, perché c’è sempre una via. Servono più pazienza e coraggio, ma è sempre possibile andare avanti e superare ogni difficoltà. L'importante è non arrendersi mai, continuando a cercare sempre quel qualcosa in più che aiuti a superare qualsiasi ostacolo”.
La testimonianza di Sara è stata raccolta grazie alla collaborazione tra Osservatorio Malattie Rare e l'associazione AIP APS, attiva in Italia dal 1991 per supportare i pazienti e le famiglie con immunodeficienze, diffondere conoscenza su queste patologie e promuovere la ricerca scientifica.
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