L’ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia ereditaria in cui un’alterazione genetica provoca livelli estremamente elevati di colesterolo nel sangue. In particolare, ad aumentare è il colesterolo LDL (Low Density Lipoproteins, lipoproteine a bassa densità), il cosiddetto “colesterolo cattivo”. Nella maggior parte dei casi, la patologia è dovuta a mutazioni a carico del gene che codifica per il recettore delle LDL, il quale, non funzionando correttamente, non riesce a 'catturare' le particelle di colesterolo LDL e a permetterne la rimozione dal sangue. La FH può presentarsi in due forme: l'ipercolesterolemia familiare eterozigote, meno grave e spesso asintomatica, che si verifica quando un bambino eredita una sola copia del gene difettoso da uno dei suoi genitori, e l'ipercolesterolemia familiare omozigote, molto rara ma anche molto più grave, che insorge quando un bambino eredita il gene difettoso da entrambi i suoi genitori. Si stima che la FH eterozigote colpisca circa una persona su 200-250, mentre la FH omozigote una persona su 300.000-1.000.000.

Il codice di esenzione dell'ipercolesterolemia familiare eterozigote è 025 (Malattie croniche), valido per la FH eterozigote di tipo IIa e di tipo IIb, per la FH combinata e per altre dislipidemie. Il codice di esenzione dell'ipercolesterolemia familiare omozigote è RCG070 (afferisce al gruppo “Difetti congeniti del metabolismo delle lipoproteine”), valido per FH omozigote di tipo IIa e di tipo IIb e per altre dislipidemie rare.

La sezione Ipercolesterolemia Familiare è realizzata grazie al contributo non condizionante di Chiesi Global Rare Diseases e di Ultragenyx.

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L’ipercolesterolemia familiare è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare. La presenza di elevati valori di colesterolo LDL contribuisce all’instaurarsi di un processo di alterazione delle pareti dei vasi sanguigni noto come aterosclerosi, a sua volta strettamente correlato all’insorgenza di gravi malattie cardio e cerebro-vascolari, come l’infarto del miocardio o l’ictus cerebrale.

La diagnosi di ipercolesterolemia familiare può essere fatta sulla base dell’anamnesi personale e familiare del paziente e sull'identificazione di alcuni segni clinici che, se presenti, sono indicativi della malattia: i più comuni sono dei rigonfiamenti sui tendini del tallone e delle mani (xantomi) o sulle palpebre (xantelasmi). La conferma diagnostica si ottiene mediante test genetico volto ad individuare le mutazioni coinvolte nella patogenesi della malattia. È importante che la diagnosi venga fatta il prima possibile, perché il trattamento è tanto più efficace quanto prima viene iniziato.

Le persone affette da FH devono seguire una dieta a basso contenuto lipidico, associata a una terapia ipolipemizzante basata sull’uso di vari farmaci, fra cui statine, ezetimibe, sequestranti degli acidi biliari e niacina. Nelle persone con malattia omozigote è necessario ricorrere alla rimozione meccanica del colesterolo LDL dal sangue, utilizzando una metodica simile alla dialisi, chiamata aferesi lipoproteica. Negli ultimi anni si sono resi disponibili nuovi farmaci, come la lomitapide, gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 (alirocumab ed evolocumab) e l’oligonucleotide antisenso mipomersen (per ora approvato solo negli Stati Uniti). Attualmente, sono in fase di studio ulteriori strategie terapeutiche, come la RNA interference (RNAi), l'editing genomico, l'utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) e la terapia genica.

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Per i pazienti italiani con FH sono attive l'Associazione Nazionale Ipercolesterolemia Familiare (ANIF) e il Gruppo Italiano Pazienti FH (GIP-FH). Entrambe fanno parte della federazione FH Europe, che riunisce le associazioni di 24 Stati europei.

Fonti principali:
- Fondazione Telethon
- FH Europe

Allo studio ha partecipato anche il farmacologo italiano Alberico Catapano, presidente della European Atherosclerosis Society

La lipoproteina (a) è un fattore di rischio genetico, causale e indipendente per le malattie cardiovascolari e la stenosi aortica. Le attuali terapie farmacologiche ipolipemizzanti non diminuiscono in maniera ottimale il livello della lipoproteina (a), in particolare nei pazienti con ipercolesterolemia familiare.

Durante l’European Atherosclerosis Society 2014 Congress (EAS 2014) sono stati presentati i risultati dello studio TESLA (Trial Evaluating PCSK9 Antibody in Subjects with LDL Receptor Abnormalities), secondo i quali il trattamento con evolocumab in aggiunta a una terapia medica ottimale produrrebbe, nei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare (IF) omozigote, una riduzione del 31% dei livelli di colesterolo-LDL rispetto ai pazienti che ricevono un placebo.

Uno studio pubblicato sul Journal of Community Genetics si è occupato di analizzare i punti di vista e le esperienze di pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare (FH), riguardo ad un programma di screening genetico a cascata in cui son stati coinvolti e rispetto alle terapie e ai cambiamenti nello stile di vita che gli vengono proposti.
La FH può essere, infatti, diagnosticata attraverso lo screening genetico e trattata attraverso specifici interventi farmacologici ma notevole importanza è rivestita dai cambiamenti apportati nello stile di vita dei pazienti.

Il futuro per il trattamento dell’ipercolesterolemia? Sono i farmaci biologici. Si tratta di di anticorpi monoclonali, prodotti grazie a specifiche applicazioni genetiche, che vanno ad agire sulla proteina PC-SK9. Tale proteina inibisce la capacità del fegato di rimuovere il colesterolo LDL (chiamato 'cattivo') dal circolo sanguigno. Tale inibizione è alla base dell'innalzamento della colesterolemia. La proteina  PC-SK9 agisce, infatti, bloccando i recettori LDL presenti sugli epatociti che hanno la funzione di captare le particelle di colesterolo e trasportarle all'interno della cellula, dove ha luogo la loro degradazione.

Durante il congresso dell'American College of Cardiology (ACC), tenutosi recentemente a Washington, sono stati presentati i risultati dello studio di fase III ODISSEY MONO, secondo i quali i pazienti affetti da ipercolesterolemia trattati con alirocumab, anticorpo monoclonale anti- PCSK9, mostrerebbero una riduzione di colesterolo LDL in modo significativamente superiore rispetto al trattamento con il farmaco ezetimibe.

L'azienda farmaceutica Amgen ha annunciato che il trattamento, rivolto ai pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare omozigote, basato sull'impiego dell'anticorpo monoclonale sperimentale evolocumab, ha soddisfatto l’obiettivo primario prefissato, ovvero il raggiungimento (dopo 12 settimane di trattamento) di una riduzione percentuale del colesterolo LDL, rispetto ai valori basali, superiore a quella ottenuta con il placebo nei pazienti arruolati nello studio TESLA (Trial Evaluating PCSK9 Antibody in Subjects with LDL Receptor Abnormalities).

L'ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia genetica che, a causa di difetti nei recettori LDL, porta a livelli molto elevati di colesterolo nel sangue, anche in presenza di uno stile di vita sano. La malattia, particolarmente grave in omozigosi, cioè quando entrambi gli alleli del gene risultano difettosi, può causare la comparsa precoce di malattia coronarica (CHD) e può portare alla morte entro i trent'anni. Recenti studi hanno dimostrato che, essendo difficile distinguere i pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare da quelli, molto più numerosi, in cui la malattia coronarica ha altre cause, la patologia risulta fortemente sottostimata.

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