Parliamo del palopegteriparatide, un analogo del paratormone approvato sia dall'Agenzia Europea per i Medicinali che dalla Food and Drug Administration americana
L'ipoparatiroidismo è una malattia rara caratterizzata dalla carenza o dall'inefficace funzionamento del paratormone (PTH), un ormone essenziale per l'equilibrio del calcio e del fosforo nell'organismo. Si tratta di una malattia rara, che negli anni è sempre stata gestita con supplementazioni di calcio e vitamina D, non sempre utili e di certo la cui azione non può sostituire quella dell’ormone inefficace. L'EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) ha approvato un farmaco, palopegteriparatide, che potrebbe sostituire in modo efficace la funzione del paratormone, ma in Italia non è ancora rimborsabile, e parliamo di un farmaco che può costare migliaia di euro, da assumere ogni giorno. Potrebbe cambiare la vita di oltre 10.000 persone nel nostro Paese. Ne abbiamo parlato con il Prof. Andrea Palermo, Medico Endocrinologo presso l’UOC Patologie Osteo-Metaboliche e della Tiroide, Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.
LE CAUSE TRA CHIRURGIA E GENETICA
“L'ipoparatiroidismo, come dice la stessa parola, è una sindrome caratterizzata dalla carenza o dalla inappropriata capacità di agire del paratormone - spiega il Prof. Palermo - e la maggior parte delle condizioni si verifica per carenza dello stesso ormone.”
La forma più comune di ipoparatiroidismo è quella acquisita, in particolare quella post-chirurgica, che rappresenta circa il 75% dei casi. “Parliamo ad esempio della rimozione della tiroide, la cosiddetta tiroidectomia,” afferma Palermo. “Durante l'intervento, le ghiandole paratiroidi, che sono limitrofe alla tiroide, possono essere danneggiate o rimosse, con la conseguenza che la quota di paratormone prodotto dalle ghiandole residue non è sufficiente a espletare le azioni nell'organismo.” In centri chirurgici altamente specializzati, il rischio di sviluppare un ipoparatiroidismo permanente dopo un intervento alla tiroide è inferiore al 2%, ma questa percentuale può aumentare in strutture con minore esperienza o quando l'intervento deve essere più demolitivo.
Esistono anche forme genetiche e autoimmuni della malattia, che hanno una prevalenza minore: “Parliamo di una condizione che si attesta con una prevalenza che va dai 2-3 ai 17 casi per 100.000 abitanti,” precisa lo specialista.
LE CONSEGUENZE SULL'ORGANISMO
La carenza cronica di paratormone può causare numerose complicanze, poiché si tratta di un ormone ad azione "pleiotropica", cioè capace di agire su vari organi e sistemi. “La carenza può comportare un aumentato rischio di infezioni del tratto genito-urinario e respiratorio, perché il paratormone ha un effetto immunomodulante,” spiega il Prof. Palermo. “Può determinare complicanze oculari, come l'induzione precoce della cataratta, e avere un impatto molto significativo a livello renale, determinando un aumentato rischio di calcolosi renale e nefrocalcinosi.”
Quest'ultima condizione è caratterizzata dalla deposizione di calcio e fosforo nel parenchima renale, che può aumentare significativamente il rischio di insufficienza renale. Un altro effetto riguarda lo scheletro: “Il paratormone è responsabile per il rinnovamento dello scheletro, che è una struttura dinamica che ha bisogno di rinnovarsi, come la cute,” chiarisce lo specialista. “In assenza di paratormone, queste capacità di rinnovamento si riducono moltissimo e l'osso tende ad essere ipermaturo, accumulando piccole lesioni che non vengono rinnovate.”
A queste complicanze si aggiungono anche problematiche cardiache, un aumentato rischio di depressione e di mortalità.
LE TERAPIE CONVENZIONALI E I LORO LIMITI
Ad oggi, il trattamento standard dell'ipoparatiroidismo si basa sulla cosiddetta terapia convenzionale: supplementazione di calcio e vitamina D attiva. “Il problema è che con questa terapia si cerca di tamponare qualcosa, ma non si va alla radice del problema,” sottolinea il Prof. Palermo.
Facendo un paragone con altre condizioni endocrine, il professore evidenzia: “Quando la tiroide funziona poco, somministro l'ormone tiroideo. Nel caso dell'ipoparatiroidismo ho poco paratormone ma non somministro il paratormone, bensì il calcio che il paratormone dovrebbe aiutarmi a riassorbire.” Questo approccio presenta diversi limiti: “Questa terapia non solo non riesce a mimare le azioni fisiologiche del paratormone, ma a lungo termine può essa stessa diventare causa di complicanze,” spiega lo specialista. “Tutto questo calcio che assumiamo per via orale tende a non essere adeguatamente localizzato nelle zone dove serve, viene inappropriatamente perso con le urine e tende ad accumularsi nei reni, causando, per esempio, problemi di calcolosi renale.”
Solo un terzo dei pazienti (35-37%) riesce, con la terapia convenzionale, a raggiungere la normalizzazione dei parametri ematochimici e una qualità di vita accettabile. Per i restanti due terzi, questo approccio terapeutico non è sufficiente a garantire un adeguato controllo della malattia.
LA NUOVA FRONTIERA TERAPEUTICA
La situazione è ancora più critica poiché un'altra opzione terapeutica, il paratormone 1-84, non è più in commercio, mentre il teriparatide (paratormone 1-34), utilizzabile in Italia, non ha mai ricevuto l'approvazione specifica per l'ipoparatiroidismo e viene prescritto off-label.
Una svolta per i pazienti è rappresentata da un nuovo farmaco, che però non è ancora disponibile in Italia. Si tratta del palopegteriparatide, un analogo del paratormone approvato dall'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e dalla Food and Drug Administration (FDA) americana come trattamento sostitutivo per l'ipoparatiroidismo negli adulti.
“È la prima volta che abbiamo questo tipo di indicazione così specifica,” sottolinea il Prof. Palermo. “Il problema in Italia è che, finché l'AIFA non si pronuncerà sul rimborso, l'unico modo per averlo sarebbe che il paziente se ne facesse carico economicamente, ma è impensabile visto il costo del farmaco, che ammonta a migliaia di euro.”
Si tratta di un farmaco che richiede una somministrazione sottocutanea giornaliera, “un po’ come si fa con l'insulina,” specifica il professore. Il vantaggio principale è che “consentirebbe la sospensione quasi immediata dei supplementi di calcio e vitamina D e, soprattutto, andrebbe a ristabilire quell'equilibrio garantito proprio dall'ormone che prima mancava.”
I dati degli studi clinici sono promettenti: “Nello studio più ampio, oltre il 90% dei soggetti ha sospeso completamente l'assunzione di calcio e vitamina D, con un miglioramento netto della qualità di vita,” riferisce il Prof. Palermo. “Sarò ancora più chiaro: mentre con le terapie convenzionali solo un terzo dei pazienti raggiunge gli obiettivi terapeutici, i dati alla mano sembrano indicare che con questo nuovo farmaco potremmo portare a target quasi il 90% dei pazienti.”
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