Il linfedema costituisce un problema significativo per tutti i malati di cancro dal momento che, a differenza del gonfiore che spesso si osserva dopo un intervento chirurgico e che nella maggior parte dei casi sparisce gradualmente, è una vera e propria patologia caratterizzata dall’accumulo di linfa nei tessuti.La comparsa del linfedema segue solitamente il termine del trattamento antitumorale (può comparire poche settimane dopo il trattamento ma anche dopo qualche anno) e non causa dolore ma si manifesta con la sensazione di pesantezza ed indolenzimento o, più in generale, di fastidio, finendo con l’incidere pesantemente sulla qualità di vita del paziente: il linfedema, infatti, produce strascichi a livello emotivo, funzionale, fisico e socio-familiare, intaccando la normale attività fisica del paziente (soprattutto nel momento in cui interessa gli arti inferiori e superiori) e la qualità dei rapporti con familiari ed amici.
Dal punto di vista fisiopatologico l’origine del linfedema va ricercata nello squilibrio tra il tasso di filtrazione microvascolare delle venule e dei capillari e la capacità drenante del sistema linfatico, perciò le più note alterazioni vascolari che insorgono con i tumori – come l’angiogenesi e la vasodilatazione – possono contribuire in maniera notevole alla manifestazione di questa patologia. Oltre al linfedema ereditario esiste una forma di linfedema secondario che risulta essere la più diffusa ed è causata da un danno legato alla proliferazione tumorale a carico del sistema linfatico o dei linfonodi. Il linfedema secondario è collegato al trattamento chirurgico (asportazione dei linfonodi), alla radioterapia, o al verificarsi di un trauma o di un’infezione. I sintomi ad esso più frequentemente associati sono il gonfiore, la variazione della percezione tattile (insensibilità), le modificazioni della cute che può apparire più gonfia e turgida e, in alcuni casi, il dolore localizzato.
In una review pubblicata su CA: A Cancer Journal for Clinicians, un gruppo di ricercatori dello University of Texas M.D. Anderson Cancer Center, offre un’approfondita panoramica delle conoscenze sul tema, rivedendo la letteratura scientifica sull’argomento ed analizzando i tassi di incidenza del linfedema nelle più diffuse forme tumorali, con particolare attenzione alle tecniche di visualizzazione e misurazione della patologia. Il loro lavoro confronta i risultati di diversi studi clinici che si sono occupati di descrivere la presenza di linfedema nelle pazienti con cancro del seno, riportando un’incidenza media nelle pazienti in seguito a biopsia del linfondo sentinella (SLNB) pari al 6.3% e del 22.3% dopo asportazione dei linfonodi ascellari (ALND). Nel caso, invece, dei pazienti con melanoma l’incidenza media di linfedema dopo intervento raggiunge il 4.1%, mentre nelle pazienti con cancri di tipo ginecologico (dell’endometrio, della cervice o della vulva) sottoposte a SLNB l’incidenza media è del 9.0%. Per i pazienti con cancro della prostata, della vescica e del pene si segnalano tassi di incidenza medi di linfedema post-trattamento pari, rispettivamente, a 4%, 16% e 21%. I dati riportati costituiscono una media dei valori segnalati nei principali studi esaminati ed i ricercatori sottolineano che la variabilità dipende non solo dalla diversa estensione del campione ma anche dai metodi di valutazione di volta in volta adottati.
La diagnosi di linfedema si basa essenzialmente sull’analisi di segni e sintomi comparsi sull’arto interessato ma nel loro lavoro di revisione i ricercatori evidenziano i progressi ottenuti dalle tecniche di visualizzazione del sistema linfatico, quali la linfoscintigrafia, l'imaging di fluorescenza nel vicino infrarosso (NIR), la Risonanza Magnetica e la Tomografia ad emissione di fotone singolo (SPECT), che costituiscono potenziali metodi per individuare precocemente la comparsa di linfedema. Infatti, il linfedema può essere attenuato sensibilmente, specie se la diagnosi viene eseguita in maniera tempestiva, e può essere tenuto sotto controllo con l’adozione di terapie specifiche e di alcune pratiche comportamentali: rimane fondamentale individuare con sollecitudine i segni ed elaborare protocolli di gestione della malattia che permettano di migliorare progressivamente la qualità di vita del paziente.
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