Dott. Simone Ferrero (Torino): “Affinché si arrivi alla diagnosi, ematologo, reumatologo, immunologo e anatomo-patologo devono sospettare la malattia e interagire tra di loro”
Dispnea, stanchezza, dolori muscolari - a volte localizzati al torace, al dorso o alle articolazioni - tosse con espettorato di sangue e infezioni del tratto respiratorio. Questa sequenza di sintomi è riconducibile a un lungo elenco di ipotesi patologiche, lasciando pensare al medico di trovarsi di fronte a un tumore polmonare, oppure a una forma di leucemia o a una patologia infiammatoria. Ma potrebbe anche trattarsi di un disturbo raro, come quello scoperto settant’anni fa da Benjamin Castleman e che ancora porta il suo nome: la malattia di Castleman. Coloro che, al sentire questo nome, abbiano inarcato un sopracciglio assumendo un’aria interrogativa, possono trovare alcune spiegazioni sul sito dell’Associazione Malati Italiani Castleman (AMICa ODV) oppure guardare l’intervista-video di OMaR al vicepresidente, il dottor Simone Ferrero, ematologo presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Città della Salute e della Scienza” di Torino (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare il video).
“La malattia di Castleman è un disordine infiammatorio contraddistinto da un ingrossamento dei linfonodi in varie parti del corpo”, afferma Ferrero. “Può interessare solo un gruppo di linfonodi in particolare [soprattutto sul collo, alla base della testa, a livello del torace o dello stomaco, N.d.R.] oppure essere sistemica, cioè coinvolgere molti linfonodi in tutto l’organismo”. La malattia si presenta in accompagnamento ai sintomi elencati poc’anzi, a cui possono eventualmente aggiungersi anemia e ipergammaglobulinemia, rendendo perciò necessaria l’esecuzione di alcuni esami di approfondimento. “Se non riconosciuta con celerità la malattia di Castleman può evolvere verso una forma aggressiva, con il coinvolgimento di più organi e un conseguente peggioramento della qualità di vita di chi ne sia affetto”, prosegue Ferrero. “In assenza di trattamento, nei casi più gravi si può arrivare persino alla morte del paziente”.
Una diagnosi tempestiva è dunque la chiave per una corretta presa in carico del paziente. “Bisogna unire alla valutazione dei sintomi e agli esiti degli esami del sangue il risultato dell’analisi del tessuto linfonodale”, precisa Ferrero. “Questa si esegue tramite il prelievo chirurgico del pezzo di uno dei linfonodi ingrossati per analizzarlo al microscopio”. Perciò è essenziale che l’ematologo e l’anatomo-patologo dialoghino tra di loro serratamente, in modo da arrivare quanto prima alla conferma diagnostica per poi avviare il paziente al trattamento.
“Nei casi in cui la malattia di Castleman sia localizzata [la cosiddetta forma unicentrica, N.d.R.] è sufficiente intervenire chirurgicamente e rimuovere il linfonodo malato”, prosegue Ferrero. “Quando, invece, sono coinvolti più linfonodi bisogna cominciare un trattamento sistemico. In Italia e in Europa è disponibile un anticorpo monoclonale che blocca l’interleuchina-6 (IL-6), la cui aumentata produzione è responsabile dell’infiammazione che si ritiene possa esser associata alla comparsa della patologia. Questo farmaco ha indicazione per il trattamento della malattia di Castleman idiopatica e multicentrica e produce ottime risposte in più della metà dei pazienti, senza sollevare problemi di tossicità”. Quando però il paziente non risponda al trattamento o, dopo un certo periodo di tempo, sviluppi una forma di malattia ad esso resistente, si considerano altre possibilità terapeutiche, che però sono meno standardizzate ed efficaci.
La presa in carico dei pazienti rimane un punto dolente. “Senza una buona diagnosi non c’è presa in carico”, commenta l’ematologo piemontese. “Gli specialisti coinvolti nel processo di diagnosi ed erogazione del trattamento sono lo specialista ematologo, oppure il reumatologo o l’immunologo, i quali trattano alcune patologie che possono confondersi con la Castleman. Insieme all’anatomo-patologo (che esegue la lettura del vetrino con i frammenti di linfonodo) tutte queste figure contribuiscono al momento della diagnosi: tuttavia, i medici devono poter interagire tra di loro e scambiarsi informazioni e commenti affinché sia posta l’ipotesi diagnostica e si arrivi alla conferma della malattia con successiva presa in carico della persona”.
Un contributo non indifferente a questo livello viene svolto dall’Associazione Malati Italiani Castleman ODV, sorta proprio dall’esigenza di un dialogo costante e approfondito tra un paziente (poi divenuto presidente dell’associazione) e lo stesso Ferrero che ne stava seguendo il caso. “L’obiettivo principale di AMICa è di rimanere accanto ai pazienti e ai loro famigliari, in modo da trasmettere loro informazioni corrette e indirizzarli ai centri di riferimento presso cui possano trovare le risposte che cercano”, conclude Ferrero. “Tra gli altri compiti dell’associazione figurano la tutela dei diritti dei malati e la creazione di un codice di esenzione specifico per la Castleman ma, soprattutto, il coinvolgimento dei medici in percorsi di formazione che, sempre più e sempre meglio, consolidino le loro competenze relativamente alle caratteristiche di una patologia così rara e poco conosciuta”. Obiettivi che, specialmente in occasione della Giornata Mondiale dedicata alla malattia di Castleman, indicano il valore della multidisciplinarietà per affrontare nel modo corretto questo genere di disturbo.
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