Oltre a cardiologi, nefrologi, pneumologi, oculisti e radiologi adesso c’è anche il team neuropsichiatrico

Monza - Reni, cuore e sistema nervoso centrale sono gli organi più a rischio per i pazienti affetti dalla rara malattia di Fabry, che non risparmia però nemmeno la vista e l’udito, soprattutto se la diagnosi e la conseguente terapia arrivano in ritardo, cosa che purtroppo ancora succede a molti.  Per identificare precocemente la malattia sarebbe indispensabile una maggiore conoscenza tra i medici di base, ma anche tra gli specialisti, che possono trovarsi a visitare questi pazienti per problemi specifici senza riuscire a collegarne i sintomi alla patologia.  Fatta la diagnosi poi è necessario avviare il paziente verso una presa in carico globale: dalla terapia – oggi disponibile – fino a protocolli di follow up che possano monitorare lo stato dei diversi organi coinvolti.  Questo è quello che viene messo in atto ormai da anni al San Gerardo di Monza, dove il Centro per la Fabry degli Adulti ruota intorno alla nefrologia. Ed è da questo stesso centro che è stata diretta quest’anno la   ‘Master School’  sulla Fabry – grazie al supporto offerto da Genzyme, azienda del Gruppo Sanofi -  destinata ad un pubblico di specialisti del centro nord: medici che già conoscono la patologia ma che avevano bisogno di approfondimenti e aggiornamenti per offrire il meglio ai propri pazienti.

Tra coloro che certamente possono meritarsi la paternità dell’appuntamento – che ha poi un analogo anche al centro sud – è il dr Federico Pieruzzi, cardiologo e nefrologo specializzata in questa patologia.  Osservatorio Malattie Rare lo ha intervistato a pochi giorni dalla conclusione di questa seconda edizione.

Dr. Pieruzzi come nasce l’idea della Master School?
L’idea nasce per rispondere alla necessità di spiegare a degli specialisti che già conoscono la malattia,  e che magari hanno qualche paziente sporadico in carico per un problema preciso, ad esempio cardiologico, come offrirgli una presa in carico complessiva. Non solo, l’obiettivo è anche quello di aiutarli a migliorare le capacità di diagnosi. Questo, infatti,  è ancora un punto dolente: pensate che al corso si è presentato il caso di un paziente al quale la malattia è stata riconosciuta solo nel momento in cui è stato operato al cuore. Quest’anno siamo alla seconda edizione, ed è stata un successo:  abbiamo avuto una ventina di partecipanti da tutto il centro nord, inclusa la Sardegna.

Per questa malattia ancora una cura definitiva non c’è, è dunque così importante fare presto la diagnosi?
Certo, lo è per il paziente malato e lo è anche per tutte quelle persone che nella famiglia potrebbero esserne affette, non dobbiamo dimenticare che la Fabry ha una trasmissione genetica e che in alcuni casi può presentarsi con fenotipi lievi, con sintomi lievi.  Una volta identificato il ‘probando’, infatti, si può fare uno screening a tutti i familiari – cosa che andrebbe sempre fatta – per prevenire che la malattia piano piano danneggi i vari organi.
Per il paziente è importante perché con la diagnosi può accedere a una delle terapie enzimatiche esistenti, che migliora molto la qualità della vita e che funziona meglio tanto prima si interviene

Durante la Master School è stato proposto un ‘modello di presa in carico’, che poi è quello già attuato dal San Gerardo di Monza, ci può spiegare come funziona?
Al San Gerardo prendiamo in carico sia i bambini che gli adulti. I primi fanno capo alla struttura diretta dalla Professoressa Parini, gli altri invece alla Clinica Nefrologia presso la quale lavoro. Nella nostra struttura abbiamo attualmente in carico circa 20 pazienti, siamo il punto di riferimento per tutta la Lombardia, ma abbiamo anche pazienti che vengono da fuori regione.  In questi anni abbiamo creato, per nostra spontanea volontà, un centro con approccio multidisciplinare. All’inizio era solo un lavoro congiunto di cardiologia e nefrologia, poi con il tempo abbiamo aggiunto un neurologo, uno pneumologo, un radiologo dedicato alla risonanza magnetica, un oculista e piano piano stiamo incrementando servizi e figure. L’ultima novità è l’aggiunta di una equipe neuropsichiatrica. I pazienti, infatti, possono avere dei problemi di questo tipo che derivano direttamente dalla malattia o dal vissuto personale e della famiglia. I pazienti vengono dunque valutati anche sotto questo profilo e se necessario indirizzati ad un servizio competente del territorio, che sia di tipo e psichiatrico o psicologico. Però lo facciamo in modo mirato, non è che li mandiamo allo sbaraglio, ma al servizio che si occuperà di loro facciamo avere un quado completo perché sappiano interfacciarsi correttamente con un paziente che, non dimentichiamolo, ha una malattia rara e che probabilmente ha cominciato una terapia che dovrà portare avanti per tutta la vita.

Quando i pazienti arrivano da voi hanno la possibilità di fare tutti i controlli in un solo giorno?

Oggi purtroppo non esiste più il day-hospital e purtroppo fare tutto in un solo giorno spesso non è possibile, cerchiamo comunque di rendere l’iter dei controlli il più  semplice e veloce  possibile. Per esempio il giorno che i pazienti vengono per fare dei prelievi cerchiamo, nella stessa giornata, di avere almeno una parte degli esiti e organizzare almeno una visita specialistica, programmando poi insieme le altre. E’ importante organizzare il tutto ricordando che queste persone spesso vengono da altre province e che, al tempo stesso, alcune visite non possono attendere tempi troppo lunghi. Per esempio la risonanza, che serve anche per valutare quando cominciare la terapia, va fatta in tempi brevi, cosa non sempre possibile se mettiamo i pazienti in coda con tutti gli altri. Così abbiamo attivato una collaborazione con un radiologo dedicato che conosce la situazione di questi pazienti e ci permette anche di dare loro se non proprio una ‘coda dedicata’ almeno un accesso più veloce.
In questi anni il modello si è evoluto, i pazienti sono aumentati, e ci troviamo al punto che dovremmo fare un salto di qualità anche a livello di personale a disposizione, in particolare infermieri, e di spazi da poter usare visto che siamo a tutti gli effetti il centro con la maggiore casistica della Lombardia.
Per migliorare la qualità della vita dei pazienti sappiamo che avete aderito anche a programmi di terapia domiciliare, come valuta questa esperienza?
È vero, attualmente abbiamo 5 pazienti in terapia domiciliare e due che stanno facendo la formazione per accedervi. L’esperienza è  assolutamente positiva, la qualità della vita migliora considerevolmente e rende più accettabile anche l’dea di dover prendere tutta la vita una terapia farmacologica. Naturalmente i pazienti che entrano in questi programmi non sono abbandonati a se stessi, prima li formiamo bene e poi comunque continuiamo a seguirli costantemente, come se venissero in ospedale, e naturalmente devono venire come gli altri a fare i controlli.

In questa edizione della Master School avete avuto come ospite il prof. Dominque Germain, uno dei massimi esperti di questa patologia. Sappiamo quanto sia importante creare una rete internazionale per queste patologie rare, ma quali sono in concreto contributi che il Prof. Germain ha offerto in questa edizione?

Già nel primo anno avevamo avuto un ospite di fama internazionale e abbiamo voluto proseguire su questa linea chiamando il prof. Germain, che in Francia  è il punto di riferimento per la gestione di questa patologia. Averlo è stato molto importante, ci ha infatti dato in anteprima una valutazione a 10 anni dall’introduzione della terapia enzimatica sostitutiva per la malattia di Fabry, che è assolutamente positiva se il trattamento con ERT viene iniziato precocemente. A breve anche noi pubblicheremo i dati, a 10 anni di trattamento, sul coinvolgimento cardiologico e nefrologico dei nostri pazienti

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