La malattia è un esempio di complessità diagnostica: può avere manifestazioni diverse e insorgenza tardiva.
OLANDA - Faresti a tuo figlio appena nato un test non invasivo per valutare la presenza di una malattia rara? Lo faresti sapendo che potrebbe evidenziare una malattia già in atto, con la necessità di cominciare subito la terapia, ma che potrebbe anche trovare una forma che si manifesterà anni più tardi, detta ‘ad insorgenza tardiva’? Faresti questo test a tuo figlio col rischio che possa dare un ‘falso positivo’, che sarebbe escluso solo da successivi accertamenti? Sono tutte ipotesi che potrebbero verificarsi nel caso dello screening neonatale per la malattia di Pompe, una patologia rara da accumulo lisosomiale e con gravi ripercussioni a livello cardiaco e neuromuscolare. Stando a un recente studio pubblicato su Orphanet Journal of rare Diseses una consistente parte della popolazione olandese, circa l’88 per cento, sarebbe favorevole al test. (Clicca qu iper lo studio in Inglese oppure Clicca qui per la traduzione integrale in Italiano)
I quesiti di fondo che i ricercatori hanno posto erano: “lo screening può essere considerato una questione di salute pubblica? Lo Stato dovrebbe dunque renderlo effettivo per il beneficio della popolazione? Oppure è questione di scelte individuali, perciò sono i singoli a dover decidere?”. Prendendo dunque come esempio proprio la malattia Pompe, che per alcune peculiarità – in primis il fenotipo variabile e la possibile insorgenza tardiva - costituisce una sfida ai criteri diagnostici attuali, i ricercatori sono andati a valutare quale fosse l’opinione nella popolazione generale (gruppo neutrale) e quale nella comunità delle persone che hanno avuto esperienza diretta della malattia (gruppo pazienti). Ebbene sembra proprio che un’introduzione dello screening da parte dello Stato troverebbe ampio appoggio.
Arrivare a questo risultato non è stato semplice: per essere certi che le risposte fossero frutto di una reale comprensione dei termini del dibattito è stata svolta prima una fase d’informazione e poi la comprensione dei temi e delle domande è stata testata e usata come criterio di inclusione. Dopo questa fase di valutazione sono state analizzate le risposte di 555 intervistati del gruppo neutrale e 58 questionari del gruppo pazienti. Tra i due gruppi non ci sono state differenze significative: l’87 per cento del gruppo neutrale e l’88 per cento dei genitori si sono dichiarati favorevoli ad una introduzione dello screening a livello statale. Percentuali simili – l’80 per cento del gruppo neutrale e l’86 del gruppo pazienti – ha ritenuto accettabile anche il rischio connaturato nel test di primo livello di evidenziale casi di malattia a probabile.
Nemmeno il rischio del ‘falso positivo’ preoccupa molto: è comunque accettabile per il 72 per cento del gruppo neutrale e per il 74 per cento del gruppo pazienti (si stima che in base alla popolazione olandese i falsi positivi per anno possano essere da 60 a 100). Se i due gruppi sono sostanzialmente concordi nella loro opinione favorevole all’allargamento dello screening delle differenze sono state evidenziate invece nelle motivazioni alla base delle risposte e nella percezione relativa ad alcuni argomenti, comprensibile visto l’esperienza diretta e il maggior coinvolgimento del gruppo pazienti nelle dinamiche della malattia.
Per esempio il ‘gruppo pazienti’ ha dato una maggior importanza al beneficio che i bambini avrebbero comunque da una diagnosi precoce della forma ad insorgenza tardiva (monitoraggio e avvio della terapia appena necessario) senza ritardo nella diagnosi, dando meno peso, rispetto al gruppo neutro, alla condizione di disagio nota come ‘patient in waiting’ che coinvolge i genitori e il bambino, un punto che preoccupa di più chi non abbia avuto una familiarità o esperienza diretta con la malattia. Va anche considerato, e forse chi vi è passato lo sa meglio che se pur la forma tardiva della malattia può esordire dopo i 40 o 50 anni, la maggior parte dei casi si ha comunque durante l’infanzia. Per entrambe in gruppi comunque questo rischio e disagio è tollerabile a fronte del beneficio di dare una migliore qualità della vita al bambino e di poter agire per migliorare la sua salute.
“Queste preferenze – fanno notare i ricercatori nei commenti allo studio – sono allineate con i criteri relativi agli screening neonatali formulati dalle commissioni di esperti. Per esempio l’organizzazione per la salute olandese ha identificato lo scopo principale degli screening neonatali con la prevenzione dei danni alla salute, mentre ha riconosciuto altri vantaggi minori, tra cui una più rapida diagnosi e cure migliori. Negli USA il Comitato per le malattie ereditabili nei neonati e nei bambini usa criteri simili”.
Lo studio olandese è stato finanziato dal Top Institute Pharma di Leiden attraverso il progetto T6-208-1 “sviluppo sostenibile di farmaci orfani attraverso registrazione e monitoraggio”, supportato dal punto di vista finanziario da Genzyme Corporation, Dutch Health Care Insurance Board (College voor Zorgverzekeringen), Shire Corporation, Dutch Steering Committee on Orphan Drugs, Erasmus MC University Medical Center, Utrecht University Medical Center e Academic Medical Center presso University of Amsterdam.
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