Le dicevano “sei depressa”, ma dopo lunghi anni di sofferenza scopre il nome della sua malattia.
Napoli – Elisa è nata in Puglia, ma da quarant'anni vive in Campania, nel cosiddetto “triangolo della morte”, una zona così chiamata per il forte aumento di mortalità per cancro della popolazione locale, principalmente dovuto allo smaltimento illegale di rifiuti tossici da parte della camorra. Elisa ha 60 anni, ha cresciuto due figlie che adesso le mancano tanto, perché per lavorare si sono dovute trasferire all'estero, e ha anche una nipotina. Suo marito le sta vicino, la accompagna e la sorregge in tutti i suoi spostamenti (controlli medici, esami e ricoveri ospedalieri, quando servono). Perché Elisa ha la malattia di Still, una rara patologia reumatica spesso associata a febbre alta, eruzione cutanea e infiammazione articolare. Il suo percorso per arrivare a una diagnosi è stato lungo e tortuoso.
Elisa, quando hai iniziato a stare male?
Da diversi anni. Pensavo di essere molto delicata, perché mi stanco subito, non posso sollevare pesi, mi deprimo facilmente, piango spesso e ho dolori vari. Tutti mi dicevano: “sei depressa perché non lavori più, perché le tue figlie sono partite, perché tuo marito sta sempre in casa e non siete abituati”. Ma non era così. Tre anni fa ho cominciato ad avere forti dolori al torace e allo stomaco, alla testa e ai lati del collo, l'affanno e ancora tosse, tanta da non poter parlare per più di cinque minuti... insomma, temevo il peggio! Così ho iniziato i controlli dal cardiologo, dal pneumologo e dal gastroenterologo, ma per i medici stavo bene, dovevo solo dimagrire (pesavo 68 kg) e distrarmi. Infine mi hanno trovato dei calcoli alla colecisti: evviva – ho detto – saranno quelli! Mi hanno ricoverato per l'intervento, ma poi sono stati costretti a dimettermi perché avevo la febbre e la tosse; successivamente mi diagnosticheranno una tracheite. Disperata, consulto un otorino, che finalmente mi ascolta un po' di più e mi prescrive vari esami tra cui l'emocromo. I valori erano tutti sballati, così mi consiglia di recarmi in un ospedale specializzato in malattie infettive, dove mi ricoverano d'urgenza.
Ma neanche in quel Centro capiscono di cosa si tratta.
Sono arrivata in reparto contenta: finalmente – penso – qualcuno mi crede! Nel letto dell'ospedale avevo freddo (anche se era fine maggio, e faceva caldissimo); ero da sola nella mia camera, perché i medici non sapevano da dove iniziare: potevo essere infettiva, oppure troppo debole per poter stare con altri degenti. Hanno iniziato i prelievi, a tutte le ore del giorno, soprattutto quando sopraggiungeva la febbre, e durante i 21 giorni di ricovero, quasi ogni giorno c'era una novità. Le manifestazioni della malattia erano tante: versamento pericardico e pleurico (per questo motivo non riuscivo a parlare ed avevo affanno e tosse), ipertensione, valori sballati negli esami del sangue, nodulo tiroideo di 3,5 cm improvvisamente comparso con la febbre, sindrome ansioso-depressiva reattiva... ma qual era la malattia? Un medico dell'équipe del reparto mi soprannominava “la donna del mistero” quando gli raccontavo le mie vicissitudini, alla ricerca di una verità. Al termine del ricovero la diagnosi sarà di “malattia autoimmune, molto probabilmente connettivite mista”.
Una malattia che entra in diagnosi differenziale con la malattia di Still: ci stiamo avvicinando...
Mi hanno consigliato di andare al più presto da un reumatologo e da un cardiologo: in ospedale mi avevano salvato, ma adesso dovevo proseguire da sola. Immediatamente con mio marito ci siamo messi alla ricerca di questi specialisti, ma la sfiducia nei confronti dei medici consultati in precedenza non mi dava la serenità di cui avevo bisogno: solo in seguito ho capito che non è affatto semplice diagnosticare una malattia rara! Ricordo bene il pomeriggio che sono andata dal reumatologo: come spesso mi accadeva, avevo la febbre. Il medico ha subito preso a cuore la mia situazione, e non mi ha mai abbandonata: anche durante il periodo delle ferie estive eravamo sempre in contatto tramite email o WhatsApp. Poi, finalmente è arrivata la sua diagnosi: “malattia di Still dell'adulto”.
Oggi quali terapie stai seguendo?
Sono sempre sotto controllo medico: cardiologo, endocrinologo, reumatologo, neurologo, ortopedico, pneumologo... ogni mese gli esami del sangue e quando nasce l'esigenza TAC, risonanze, radiografie. La malattia non crea problemi solo alle articolazioni, grandi e piccole, ma anche agli organi interni. Ultimamente l'ortopedico ha detto che probabilmente avrò bisogno di un intervento di protesi all'anca. Non esiste una cura vera e propria, ma vado avanti con una terapia da monitorare ogni tre mesi, anche meno se insorge un problema. Assumo diversi farmaci: una compressa per la tiroide (devo rifare la biopsia tra un mese), medicine per l'ipertensione, una terapia a base di cortisonici, un altro farmaco per l'artrite, acido folico e antidolorifici all'occorrenza, oltre ad integratori alimentari e vitamina D. Senza contare i rimedi per lo stress, l'ansia e la depressione: mi sento sempre stanca, demotivata e apatica. Gli esami del sangue sono abbastanza buoni, i dolori ci sono sempre, ma non sono costanti: insomma, sto sicuramente molto meglio rispetto ad un anno fa.
Il solo fatto di aver ottenuto una diagnosi ti ha fatto cambiare prospettiva nei confronti della malattia?
Certamente! Adesso vivo in un nuovo mondo, fatto di speranze, e mi auguro di riuscire a fare ancora tanto per la mia famiglia. Ma vorrei avere più comprensione: la gente non ti crede, perché ti vede in piedi, solo perché respiri! Siamo malati invisibili. Il mio endocrinologo mi disse: “Sicuramente la malattia l'aveva da molti anni, forse non sarebbe mai esplosa se non ci fosse stato un forte stress fisico, psicologico ed emotivo”. Così è stato. Il nostro corpo dice quello che noi non possiamo dire o che gli altri non vogliono farci dire, per educazione, per rispetto, per buonsenso o semplicemente per quieto vivere.
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