Alla base della LHON (neuropatia ottica ereditaria di Leber) ci sono delle mutazioni del DNA mitocondriale. Ereditarle però non è una condanna a sviluppare questa rara malattia. A spiegarlo ai giornalisti italiani intervenuti al corso di formazione organizzato dall'Omar Informazione e Salute. Patologie non evidenti e cronaca giornalistica: l caso della LHON e di altre malattie rare, svoltosi giovedì scorso presso il S. Raffaele di Milano, è stato il prof. Valerio Carelli, IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche (ISNB), Ospedale Bellaria, dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie (DIBINEM) – Università di Bologna.

"La LHON è una rara forma di atrofia del nervo ottico. Immaginiamo il nervo ottico come un cavo elettrico con dentro un milione e 200 mila fili che trasmettono le immagini dal centro della retina al cervello. Nelle persone che sviluppano la LHON queste fibre nervose, i fili, degenerano progressivamente fino a morire del tutto - spiega Carelli - Dopo alcuni mesi rimangono a questi pazienti sono qualche migliaio di questi fili: ci sono pazienti con una degenerazione più grave che sono quasi del tutto ciechi e vedono solo luci ed ombre ed altri che non vedono ciò che si trova davanti a loro, al centro del campo visivo, ma che mantengono la visione del campo periferico. Soprattutto in questo caso sono persone con una discreta autonomia nel muoversi, ma ciò non toglie che siano gravemente ipovedenti.  Purtroppo ad oggi non c’è una terapia che permetta di ‘rigenerare’ le cellule morte, che dunque sono perse per sempre."


Cosa, invece, si riesce a fare oggi? A cosa serve l’Idebenone, l’unico farmaco in questo momento approvato per il trattamento della LHON dagli Enti regolatori europei (EMA) ma anche italiano (AIFA)?
Oggi si cerca di arginare la fase attiva di degenerazione e dunque la perdita definitiva di queste cellule con farmaci antiossidanti quali l’Idebenone. L’obiettivo è cercare di conservare una percentuale di fibre più elevata di quello che avverrebbe in assenza di trattamento. Se si evita che degenerino del tutto, e quindi vadano perse, è poi possibile che, passata la fase acuta e dunque dopo 6-12 mesi dall’esordio, le fibre rimaste, che prima erano diventate ‘mute’ e quindi non trasmettevano più impulsi, riprendano a funzionare portando quindi ad un grado variabile di recupero. In tal senso prima si inizia la terapia e meglio è per arginare la perdita. Per il futuro la prospettiva è quella di poter usare anche la terapia genica. Gli studi in tal senso vanno avanti da più di 15 anni e a breve, anche in Italia, partirà la prima sperimentazione clinica sull’uomo. In questa sperimentazione potremo inserire solo pazienti in fase acuta, e quindi in cui non sia passato più di un anno dall’esordio: è per questo ancora più importante sensibilizzare la classe medica, in particolare oculisti e neurologi, al fine di poter avere una diagnosi precoce e offrire una chance a queste persone.

La malattia è ereditaria: chi ha una delle mutazioni responsabili è dunque destinato a sviluppare la LHON?
Ereditare una delle mutazioni responsabili non è una condanna ma solo un fattore predisponente. I pazienti nascono con una vista perfettamente normale, ma avendo una mutazione nel DNA mitocondriale – ereditata per via materna -  che predispone alla degenerazione delle cellule della retina, possono sviluppare la malattia. Per i maschi che ereditano la mutazione il rischio di sviluppare la malattia è del 50%, e in genere questo avviene in età adolescenziale e con un esordio subacuto, per le donne invece questa probabilità scende al 10%. La diagnosi spesso arriva tardi perché è una malattia poco nota: è il sospetto diagnostico che tarda ad arrivare, ma una volta posto si procede con il test genetico, che individua la mutazione e toglie ogni dubbio in un paio di giorni. Questo test viene fatto in diversi laboratori italiani.
Chi non sviluppa la malattia è solo portatore e può non avere mai alcun sintomo, le donne però potranno trasmettere la mutazione ai loro figli, maschi e femmine. Ci sono famiglie in cui la mutazione viene trasmessa per generazioni senza che nessuno si ammali mai: per sviluppare la malattia serve che la mutazione si combini ad altri fattori scatenanti.

Quali sono questi fattori scatenanti?
Senza alcun dubbio il fattore scatenante numero uno è il fumo di sigaretta: diversi pazienti se non avessero fumato non avrebbero mai avuto nulla. Si tratta dunque di casi di malattia che potevano essere evitati.
Su questa correlazione abbiamo ormai dei dati certi, ma è anche vero che la comunità scientifica si trova d’accordo sul fatto che ci siano alcuni pazienti che sviluppano la malattia in assenza di un fattore ambientale precipitante. In questi pazienti, nel loro patrimonio genetico vi sono altri fattori che agiscono in sinergia con la mutazione del DNA mitocondriale, ma questi non sono ancora noti con esattezza e sono oggetto di ricerca.
A parte il fumo di sigaretta nel tempo abbiamo notato anche altri fattori ambientali che possono scatenare la LHON, tra questi l’associazione tra fumo e alcol, carenze vitaminiche e in particolare di B12, l’esposizione a fumi di combustibile, a solventi e vernici o anche, ma qui le prove sono meno stringenti, traumi cranici rilevanti – che a volta abbiamo notato precedono di poco l’esordio della malattia – o una pratica agonistica molto intensa dello sport. Attenzione però, non è che fare sport faccia male, anzi, in genere è un elemento che aiuta la biogenesi mitocondriale, è una pratica eccessiva che può agire in modo controproducente, come un boomerang.

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