Con i farmaci di ultima generazione si riducono gli effetti collaterali e i tassi di ospedalizzazione dei pazienti
Nonostante il nome simile a uno scioglilingua, la piastrinopenia immune, o porpora trombocitopenica idiopatica (ITP), è una malattia in cui il crollo delle piastrine implica un sensibile incremento del rischio di sanguinamenti. Infatti, le piastrine rappresentano gli elementi corpuscolari del sangue che mediano i processi di coagulazione: senza di esse le probabilità che un’emorragia possa avere conseguenze fatali diventa molto concreta.
“I segni di un numero molto basso di piastrine vanno dalla presenza di piccole macchie sulla pelle ai sanguinamenti del cavo orale, fino alle importanti emorragie dell’apparato gastrointestinale e, per le donne, dell’apparto genitourinario, contraddistinte da un’abbondante perdita di sangue con il ciclo mestruale”, spiega il dott. Giovanni Caocci, dell’Unità di Ematologia e CTMO presso l’Ospedale “A. Businco” di Cagliari. “Nei casi più gravi si possono presentare ampi ematomi in diverse parti del corpo e specialmente a danno del sistema nervoso centrale, dove le emorragie cerebrali sono potenzialmente rischiose per la vita”.
Si tratta, perciò, di una malattia da non sottovalutare, le cui cause non sono ancora state ben definite. “La piastrinopenia immune è caratterizzata dalla produzione da parte dell’organismo di anticorpi contro le stesse piastrine”, continua Caocci. “A causa di questi anticorpi le piastrine vengono distrutte e, di conseguenza, il loro livello complessivo si abbassa prematuramente. La piastrinopenia può associarsi ad altre condizioni autoimmuni, in cui il sistema immunitario non riconosce le sue stesse cellule e produce anticorpi diretti anche contro altri organi (ad esempio la tiroide); oppure, può essere preceduta da infezioni virali e batteriche, inclusa quella provocata da Helicobacter pylori nello stomaco. Infine, in circa l’80% dei casi la ITP è appunto idiopatica, cioè non si conosce la ragione per la quale questi anticorpi vengono prodotti”.
L’esame di riferimento per la conta piastrinica è l’emocromo, in cui il livello di normalità delle piastrine è compreso tra 150mila e 400mila unità per microlitro di sangue. Nella piastrinopenia immune, tale soglia può scendere al di sotto delle 100mila e, nei casi più severi, addirittura al di sotto delle 20mila unità. Purtroppo, in certi casi, il paziente può non accorgersi della malattia a meno che non si sottoponga a un esame di controllo per altri motivi. “In genere, queste forme non vengono trattate a meno che il valore delle piastrine non precipiti sotto le 20mila unità o non si presentino sanguinamenti di rilievo”, precisa l’ematologo cagliaritano. “I pazienti gravi, con una conta piastrinica intorno a 2mila unità per microlitro, vengono sottoposti a ricovero immediato e trattati con la somministrazione di corticosteroidi e immunoglobuline, che rappresentano il trattamento di prima linea. Purtroppo, il cortisone preso per lungo tempo impatta in maniera sfavorevole sulla qualità di vita del paziente. La terapia di seconda linea comprende l’asportazione della milza, risolutiva nel 70% dei casi. Tuttavia, trattandosi della rimozione di un organo, richiede una costante attenzione da parte del paziente ad eventuali infezioni batteriche”.
Come terapie di seconda linea, in tempi recenti hanno trovato spazio gli anticorpi monoclonali quali rituximab, un anti-CD20 che, insieme ad altre terapie immunosoppressive, ha offerto ottimi risultati nel miglioramento della sintomatologia. “Per finire, da qualche anno a questa parte, all'armamentario terapeutico dell’ematologo si sono aggiunti dei farmaci definiti agonisti della trombopoietina, che sono eltrombopag e romiplostim”, precisa Caocci. “Essi non risolvono il problema alla base della malattia, ma stimolano la produzione di un maggior quantitativo di piastrine da parte del midollo osseo, portando il paziente ad una conta piastrinica sicura, superiore alle 50mila unità”. La principale differenza tra i due farmaci, che risultano simili in termini di principio attivo, consiste nelle modalità di somministrazione: eltrombopag si trova in una formulazione in compresse da assumere oralmente tutti i giorni; romiplostim, invece, è una terapia che si somministra attraverso iniezioni sottocute una volta alla settimana.
“Alcuni pazienti preferiscono la compressa, altri prediligono la formula iniettiva per sentirsi meno vincolati dal dover assumere un farmaco giorno per giorno”, spiega l’esperto. “Quel che è certo è che gli agonisti della trombopoietina hanno cambiato radicalmente l’approccio alla malattia sul piano della qualità di vita, evitando l’assunzione di cortisone, causa di pesanti effetti collaterali. Occorre ricordare che molti pazienti si ammalano in giovane età e un regime terapeutico a base di cortisonici da assumere a vita colpisce duramente il metabolismo, con conseguenze irreversibili che includono osteoporosi, alterazioni endocrine e fluttuazioni della glicemia. Questi farmaci, invece, producono scarsi effetti collaterali, tutti di norma ben gestibili. Il punto fondamentale è che l’ematologo esperto deve controllare il paziente e modulare l’assunzione del farmaco, perché il valore delle piastrine, con il progredire della terapia, può salire eccedendo i limiti superiori e innescando un rischio trombotico. Occorre pertanto modulare la quantità di farmaco per mantenere il valore delle piastrine tra le 50mila e le 150mila unità circa”.
L’impiego di farmaci come eltrombopag e romiplostim ha favorito una dilazione negli intervalli di somministrazione delle terapie, facendo sì che alcuni pazienti passassero da dosaggi giornalieri a settimanali e arrivando, in certi casi, anche a sospendere il trattamento. “I farmaci possono essere sospesi quando si raggiunge un valore di piastrine stabile e il paziente rimane in risposta completa”, precisa Caocci. “Ciò significa migliorare la qualità di vita e ridurre gli accessi ospedalieri di persone che sono costrette a entrare e uscire dagli ospedali per ottenere i medicinali e per sottoporsi ai controlli per la loro patologia”. L’esperienza accumulata con eltrombopag e rompiplastin ha permesso di evidenziarne le potenzialità anche nel trattamento di altre patologie. “Eltrombopag, ad esempio, si è rivelato importantissimo nel trattamento dell’aplasia midollare”, conclude Caocci. “Queste molecole possono essere prescritte anche a individui con carenza piastrinica che devono sottoporsi a interventi chirurgici, per raggiungere così una quota di sicurezza in modo tale che il paziente possa affrontare l’intervento evitando una trasfusione di piastrine, decisamente più invasiva e, per certi versi, associata a maggiori rischi e a una qualità di vita percepita nettamente inferiore”.
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