Nicola Vianelli

Il dott. Nicola Vianelli (Bologna): “Lo spazio dedicato alle persone con ITP in età avanzata è ancora troppo poco, bisogna spendere più tempo, risorse ed energie”

Se c’è una cosa che la pandemia di COVID-19 ci sta insegnando è che dobbiamo proteggere dall’assalto del virus SARS-CoV-2 gli individui più fragili, ai quali esso può arrecare danni gravi o per cui può essere, in ultima istanza, causa di morte. Ai primi posti di questa categoria ci sono proprio gli anziani, maggiormente a rischio di sviluppare diverse patologie tra cui la trombocitopenia immune (ITP), un disturbo di origine autoimmune che provoca una diminuzione del numero delle piastrine circolanti, esponendo il paziente ad una più elevata probabilità di emorragie.

“Le due fasce d’età a maggiore incidenza di trombocitopenia immune sono quella pediatrica e quella dell’adulto in fase avanzata”, afferma il dott. Nicola Vianelli, dell’Unità Operativa di Ematologia, presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. “Il paziente affetto da ITP non è particolarmente suscettibile al COVID-19 ma può diventarlo se sta seguendo una terapia immunosoppressiva. Esistono farmaci per la ITP capaci di indurre un importante stato di immunosoppressione, che può durare anche per un lungo periodo di tempo. Perciò, in questo specifico periodo di emergenza sanitaria da COVID-19, è sconsigliabile l’uso di questa categoria di medicinali”. La situazione del paziente anziano con trombocitopenia immune si presenta alquanto delicata e non solo in riferimento all’attuale emergenza sanitaria: infatti, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, entro il 2050 la popolazione anziana è destinata a raggiungere quota 2 miliardi. Poiché la ITP - come anche altre patologie - tende ad avere una maggiore incidenza con l’avanzare dell’età, occorre essere preparati e sufficientemente attenti.

ITP E DIABETE

“A complicare le cose c’è il fatto che molto spesso il paziente con ITP anziano presenta delle comorbilità, cioè delle patologie associate che in alcuni casi possono contribuire a far sviluppare la piastrinopenia, direttamente o indirettamente, attraverso farmaci che l’anziano già utilizza per il trattamento delle stesse”, prosegue Vianelli. “Queste patologie concomitanti rappresentano un problema nel momento in cui il medico realizza che il paziente con ITP necessita di un trattamento mirato per la piastrinopenia”. Emerge così la fragilità della persona anziana, che si traduce nella difficolta ad affrontare e superare uno stress psico-fisico e nella minor capacità di ritornare, successivamente, a uno status di normalità. Pertanto, se il recupero fisiologico non è completo, il paziente risulta più difficile da trattare. “La terapia di prima linea per la ITP prevede l’uso di farmaci ad azione immunosoppressiva, come il cortisone, ma molti anziani, ad esempio, convivono con il diabete, e si sa che in questi casi la somministrazione di cortisone a dosaggi generosi può sollevare notevoli problemi. Infatti, il cortisone altera il metabolismo del glucosio e provoca uno sbilanciamento nel paziente diabetico che sta già assumendo farmaci specifici e magari seguendo una dieta ad hoc. In tal caso è meglio evitare di cominciare una terapia con cortisone”.

Una possibile alternativa è rappresentata dai farmaci TPO-mimetici, che solitamente si usano come terapia di seconda o terza linea nei pazienti con ITP che non rispondono al trattamento con cortisone. “Anche in questo caso, tuttavia, serve una particolare attenzione, perché il diabete, in corso di trattamento per ITP, può favorire l’instaurarsi di complicanze soprattutto emorragiche e trombotiche”, continua l’esperto bolognese. “I TPO-mimetici sono farmaci con una loro intrinseca potenzialità pro-trombotica e non è facile somministrarli a un diabetico, su cui grava già il rischio di complicanze trombotiche: per proteggere il paziente da un’emorragia, infatti, si può paradossalmente rischiare una trombosi”.

ITP, TROMBOSI E ARITMIE

Diventa evidente come l’ematologo che si occupa della gestione clinica di una persona anziana con ITP debba concentrarsi su un elevato numero di variabili cliniche, dal momento che sia le comorbilità, sia le interferenze dei farmaci, possono rendere problematica la gestione del paziente. “Ci sono anche pazienti con ITP che nella loro storia personale hanno già avuto uno o più episodi di trombosi e, di conseguenza, stanno eseguendo una terapia con farmaci anticoagulanti o antiaggreganti piastrinici”, specifica Vianelli. “Si tratta di un’ulteriore ramificazione dell’albero decisionale terapeutico. In tal caso, si tende a usare comunque un farmaco TPO-mimetico, poiché è fondamentale mantenere in modo stabile un numero di piastrine emostaticamente sicuro, tale da consentire al paziente di continuare ad assumere il farmaco antiaggregante, che lo protegge dalla probabilità di incorrere in un’ulteriore trombosi”. È questo un esempio particolarmente calzante delle problematicità che si possono presentare nel paziente anziano con ITP e patologie concomitanti. “Anche alle aritmie è associato un certo rischio tromboembolico, che raccomanda l’uso di farmaci antiaggreganti”, aggiunge Vianelli. “Occorre sempre considerare attentamente la situazione clinica del paziente e optare per il percorso terapeutico più sicuro, che minimizzi le conseguenze della patologia interagendo al meglio anche con eventuali altri farmaci assunti dal paziente”.

RIFLETTORI PUNTATI SUI PAZIENTI ANZIANI

Le linee guida per il trattamento della ITP prevedono l’impiego di farmaci cortisonici e TPO-mimetici e, in seconda battuta, di rituximab, un farmaco che induce una potente immunosoppressione per un periodo di tempo compreso tra 6 e 9 mesi. Negli anziani in particolare, ciò comporta un maggior rischio di infezione, a fronte di minori risorse per superarle, imponendo cautela nella somministrazione di simili molecole.

Infine, un’altra possibile opzione di trattamento è la rimozione della milza (splenectomia), una procedura efficace e relativamente sicura che comporta, però, la possibilità di complicanze infettive e trombotiche anche nei mesi successivi all’intervento, con una probabilità di successo inferiore nella persona anziana rispetto al giovane, sconsigliandone pertanto l’impiego nei pazienti al di sopra dei 65 anni.

“Purtroppo, lo spazio dedicato all’anziano con ITP è ancora troppo poco”, conclude Vianelli. “Bisogna spendere più tempo, risorse ed energie per la messa in opera di programmi di formazione dei clinici e di assistenza ai malati, anche attraverso percorsi di telemedicina e con il supporto dell’Associazione Italiana Porpora Immune Trombocitopenica (AIPIT), per il continuo miglioramento della qualità di vita dei nostri pazienti più fragili”.

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