Claudio Carmine Guida

Il dr. Claudio Carmine Guida: “Una semplice iniezione mensile sottocutanea del farmaco givosiran ha eliminato il calvario della somministrazione di emina in ambiente ospedaliero” 

San Giovanni Rotondo (Foggia) – Centosedici pazienti affetti da porfiria: da questi numeri, riferiti a una malattia rara, è possibile intuire la rilevanza dell'Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo. Una casistica così numerosa da rendere l’Istituto un centro di riferimento per questa patologia per tutto il Sud Italia.

“Il centro ha iniziato la sua attività nel 1998, allorquando è stata fatta la prima diagnosi di porfiria acuta intermittente. Successivamente, nel 2008 (con la deliberazione della Giunta Regionale n. 171 del 19 febbraio), il lavoro svolto è stato riconosciuto meritevole di assegnazione della qualifica di Centro Interregionale di Riferimento per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia della porfiria”, spiega il responsabile, il nefrologo Claudio Carmine Guida. Il centro di San Giovanni Rotondo, inoltre, fa parte del GrIP, il Gruppo Italiano Porfiria, un team di professionisti (medici e biologi ospedalieri e universitari) esperti nella diagnosi e gestione delle porfirie.

Attualmente, la casistica dell’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” comprende un totale di 116 persone con porfiria (il 56% circa di sesso femminile e il 44% di sesso maschile). I pazienti provengono da diverse regioni italiane (non solo dal Sud Italia) e anche dall'estero. “La porfiria epatica acuta presenta una classica triade sintomatologica: dolori addominali persistenti, sintomatologia neurologica e disturbi psichiatrici. I pazienti lamentano persistenti parestesie, nausea, vomito, contrazione della diuresi, tachicardia, crisi ipertensive, ansia, irritabilità, delirio e idiosincrasia ai farmaci”, prosegue il dr. Guida.

A partire dallo scorso anno, però, un nuovo farmaco, il givosiran, ha portato a un netto miglioramento della qualità di vita delle persone con porfiria epatica acuta. “I pazienti sono stati affrancati dall’uso di un catetere venoso centrale ad impianto totale, tipo port in vena giugulare, indispensabile per la somministrazione dell’emina e utilizzato nelle fasi iniziali del percorso terapeutico. È stato così possibile evitare il rischio di trombosi e infezioni derivanti dal posizionamento e dall’uso del dispositivo venoso, nonché evitare le ospedalizzazioni prima rese necessarie per il follow-up terapeutico e gestionale della patologia. Una semplice iniezione mensile sottocutanea di givosiran ha eliminato il calvario della somministrazione di emina in ambiente ospedaliero, con il riecheggiare di ricordi dolorosi da parte dei pazienti”.

Recentemente il dr. Guida, con un gruppo di colleghi italiani, ha pubblicato sulla rivista Diagnostics uno studio che affronta proprio il coinvolgimento nefrologico nella porfiria epatica acuta e il ruolo svolto dal farmaco givosiran nel trattamento della patologia. “Il givosiran ha visto un lievissimo aumento della creatininemia, indice fedele della funzionalità renale, a distanza di oltre 3 mesi dalla prima somministrazione, con stabilizzazione dei valori di laboratorio. Ha mostrato anche un aumento dell’omocisteinemia, che è stata prontamente posta sotto controllo mediante l’utilizzo di integratori alimentari a base di acido L-5-metiltetraidrofolico, vitamine del gruppo B e vitamina C”, sottolinea il nefrologo. In questo studio, il danno renale determinato dalla malattia è stato riconosciuto dagli esperti come un'entità distinta, con caratteristiche patologiche e cliniche specifiche: si parla, infatti, di malattia renale associata alla porfiria (porphyria-associated kidney disease, PAKD), una condizione degenerativa in cui il danno ai reni riportato più frequentemente è stato quello tubulo-interstiziale cronico, sebbene siano state riscontrate anche altre caratteristiche patologiche, come l'iperplasia intimale fibrosa cronica.

Il dr. Guida è anche presidente dell'Associazione Amici della Porfiria – San Pio da Pietrelcina Onlus, che si è costituita nel novembre 2008 per venire incontro alle difficoltà che i pazienti incontrano nel loro follow-up. “Ne fanno parte cinque elementi: il sottoscritto, in qualità di presidente, la dietologa (dr.ssa Adelaide Potenza), che si occupa dell’apporto nutrizionale dei pazienti, la biologa-genetista (dr.ssa Maria Savino), in prima linea per gli esami laboratoristici e biomolecolari per la definizione specifica della porfiria, la psicologa e psicoterapeuta (dr.ssa Marina Caravella), che per prima ha approcciato i pazienti affiancandoli nel percorso della malattia, e la prima paziente riconosciuta affetta da porfiria acuta intermittente. Da alcuni anni l’Associazione è entrata a par parte di AMARE, la Rete Associazioni Malattie Rare della Regione Puglia costituitasi nel dicembre 2015, contribuendo a identificare obiettivi comuni da realizzare attraverso la collaborazione, la sinergia e lo scambio di competenze”, prosegue Guida.

Il nostro intento è quello di migliorare la qualità di vita delle persone affette da una malattia rara attraverso una più ampia accessibilità ai servizi del sistema sanitario regionale, migliorare la qualità dei servizi offerti, divulgare e sensibilizzare in merito ai temi inerenti alle malattie rare e partecipare ai processi decisionali nell’ambito delle politiche socio-sanitarie”, conclude il nefrologo. “Indispensabile è stata l’opera svolta dalla dr.ssa Savino, con la sua infaticabile collaborazione nell’ambito laboratoristico e genetico, che ci ha permesso di convalidare la diagnosi di innumerevoli pazienti giunti al nostro Centro per conoscere la loro patologia. Recentemente si è affiancata, per la conduzione clinica della porfiria, la dr.ssa Annalisa Crisetti, nefrologa dell'Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi diretta dal dr. Filippo Aucella”.

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