Sindrome di Alagille
Dott. Emanuele Nicastro

Il dr. Emanuele Nicastro (Bergamo): “Disporre di terapie mirate in grado di contrastare il prurito colestatico e altre conseguenze della patologia è un grande vantaggio per i pazienti” 

Bergamo – La sindrome di Alagille (ALGS) è una rara patologia multiorgano la cui modalità di presentazione può essere estremamente varia. Il dr. Emanuele Nicastro, dell'Unità di Epatologia, gastroenterologia e trapianti pediatrici dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ci ha aiutato a capire quali sono le sue manifestazioni più tipiche e caratterizzanti. “La presentazione più eclatante, visto che la sindrome è stata scoperta da un epatologo pediatrico, è la colestasi neonatale, cioè l'ittero colestatico che si manifesta molto precocemente. La ALGS è caratterizzata istologicamente da duttopenia, quindi da una displasia dei dotti biliari, e va in diagnosi differenziale con l'atresia delle vie biliari o altre malattie genetiche che interessano la sintesi e il trasporto degli acidi biliari”, spiega il dr. Nicastro, recentemente nominato professore associato presso l'Università dell'Insubria di Varese.

Spesso – prosegue l’esperto – nella sindrome di Alagille è presente anche una cardiopatia, che può avere un grado variabile di severità e che di solito è caratterizzata da un ostacolo all'efflusso di sangue del cuore destro, in particolare dalla stenosi dell'arteria polmonare o dei suoi rami periferici; l'ecografia, se non è mirata, può non evidenziare le stenosi periferiche, che tuttavia sono spesso percepibili all'auscultazione, perché i bimbi presentano un evidente soffio sistolico aspro. Nei pazienti con ALGS la cardiopatia può manifestarsi anche in forme molto più severe: ad esempio vi sono quadri di stenosi valvolare ad alto impatto emodinamico, o addirittura casi di tetralogia di Fallot, una grave malformazione cardiaca congenita”.

“La sindrome di Alagille è caratterizzata anche da altri sintomi un po' più sfumati, la cui comparsa non è subito ovvia: in particolare, possono essere presenti dismorfismi facciali che nel neonato sono poco apprezzabili, ma che si possono notare già a partire dal primo anno di vita, come un viso triangolare, la fronte bombata, un mento appuntito e gli occhi un po' infossati”, chiarisce Nicastro. “Inoltre, in alcuni casi è riscontrabile un interessamento renale di grado variabile, che va da alcune anomalie urologiche, come il doppio distretto renale o il rene a ferro di cavallo, fino a una tubulopatia o una glomerulopatia che possono evolvere in un’insufficienza renale cronica. Altri possibili sintomi, che sono ancor meno evidenti e che possono rilevarsi a un approfondimento clinico una volta che sia stato posto il sospetto di ALGS, includono le anomalie di ossificazione dei corpi vertebrali (le cosiddette vertebre a farfalla), che vanno ricercate con una radiografia del rachide, oppure le anomalie vascolari e cerebrali, come gli aneurismi o la sindrome di Moyamoya, un'anomalia del letto arterioso cerebrale. Infine, può essere riscontrata anche la presenza di anomalie oculari come l'embriotoxon”.

L'espressività della sindrome di Alagille è quindi assai variabile, e questo si ripercuote sulla stima della sua frequenza, che è molto dibattuta e compresa fra un caso ogni 30.000-80.000 nati. Ci sono infatti dei bambini affetti dalla patologia che presentano tutti i sintomi descritti, e altri, anche all'interno della stessa famiglia, che ne hanno solo uno o non ne hanno affatto. Per quanto riguarda l'età di insorgenza, se l'esordio della ALGS si manifesta con un problema epatico molto frequentemente avviene nei primissimi mesi di vita, ma è possibile ricevere la diagnosi anche in un'età più avanzata, ad esempio indagando un prurito e rilevando che è legato a un problema epatico, cioè la colestasi.

La diagnosi di Alagille si ottiene mettendo insieme le caratteristiche cliniche e indagando il coinvolgimento degli organi, ma la conferma si ottiene con il test genetico, che ricerca le mutazioni nei geni JAG1 e NOTCH2. Quando facciamo questo test, però, non ricerchiamo mai solo due geni, perché esistono altre malattie monogeniche del fegato che si presentano con colestasi neonatale e duttopenia: un esempio su tutti è il gene HNF1B, che può dare una duttopenia non sindromica. Nella pratica clinica, quindi, utilizziamo l'NGS (Next Generation Sequencing) per condurre un'analisi mirata su una sessantina di geni che sono noti per dare colestasi neonatale”, prosegue il dr. Nicastro. 

Sul fronte delle terapie, fino a poco tempo fa la gestione della sindrome di Alagille si basava su farmaci utilizzati “off label” o su trattamenti sintomatici. “Oggi, tuttavia, abbiamo finalmente a disposizione due terapie mirate, due farmaci specificamente indicati per questa patologia: maralixibat, già commercializzato anche in Italia, e odevixibat, approvato in Europa è in attesa di autorizzazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco”, sottolinea Nicastro. “Si tratta di due inibitori del trasportatore ileale degli acidi biliari (IBAT), quindi totalmente diversi dai farmaci storicamente impiegati per la ALGS: entrambi hanno dimostrato di poter ridurre il prurito, con un impatto importantissimo sulla qualità della vita e del sonno dei piccoli pazienti. Inoltre, l'utilizzo di maralixibat e odevixibat riduce anche il colesterolo: un'ipercolesterolemia importante è un'altra caratteristica della malattia, che porta in alcuni casi alla formazione di xantomi, accumuli cutanei di colesterolo che talvolta possono essere deformanti; riducendo il colesterolo, si riducono in maniera molto importante anche gli xantomi. Avere dei farmaci che agiscano su tutti questi aspetti è sicuramente un grande vantaggio per questi bambini”.

Nel centro dove lavora il dr. Nicastro, l'Unità di Epatologia, gastroenterologia e trapianti pediatrici dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in questo momento sono presi in carico dieci bambini con sindrome di Alagille e coinvolgimento epatico, e la maggioranza di questi è in terapia con gli inibitori di IBAT. Ci sono poi altri venti bambini circa, sempre affetti da questa malattia, che hanno subito un trapianto di fegato ma che continuano a manifestare problematiche meritevoli di attenzione, a livello cardiaco, renale o cerebro-vascolare.

“Storicamente, prima ancora del trapianto di fegato, per la ALGS veniva preso in considerazione un approccio chirurgico di diversione biliare, con il quale si deviava la bile all'esterno del corpo, attraverso una colecistostomia, oppure nel colon, per tentare di ridurre il riassorbimento degli acidi biliari. Questa metodica è oggi desueta grazie all'arrivo dei farmaci maralixibat e odevixibat, che sostanzialmente hanno lo stesso effetto della diversione biliare ma senza invasività. Il trapianto di fegato, invece, è ancora un'opzione, ma noi speriamo che ci si ricorra sempre meno. Una delle principali indicazioni al trapianto è sempre stato il prurito, perché mancavano farmaci efficaci nel contrastarlo: da un quarto a un terzo dei bambini venivano sottoposti a trapianto principalmente per questo motivo, e ora potranno evitarlo o almeno rimandarlo. Si può dover ricorrere al trapianto di fegato anche per altri motivi, ad esempio la fibrosi epatica, la cirrosi e l'ipertensione portale, ma non sappiamo ancora se gli inibitori di IBAT avranno un impatto anche su queste problematiche”.

L'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, insieme ad altri tre centri italiani – a Milano, Torino e Firenze – fa parte del consorzio internazionale Global ALagille Alliance (GALA), un gruppo globale di ricercatori che forniscono dati aggiornati sulla storia naturale dei bambini affetti da ALGS, e che in futuro raccoglierà anche dati sugli esiti clinici dei pazienti che utilizzano i farmaci di nuova approvazione. “Grazie agli studi di questo consorzio siamo riusciti a definire la storia naturale della malattia su una coorte di più di 1.500 bambini: abbiamo capito quali sono i fattori di rischio e i determinanti di alcuni outcome, come il trapianto, o di altri eventi maggiori come lo scompenso ascitico. Siamo riusciti a individuare quali sono le caratteristiche dei bimbi che rischiano di peggiorare, soprattutto dal punto di vista epatico, e abbiamo anche avuto un insight sul ruolo degli acidi biliari nel predire l'outcome della malattia”, conclude il dr. Nicastro. “Si tratta, insomma, di un'iniziativa scientifica di enorme importanza per migliorare la conoscenza della sindrome di Alagille”.

X (Twitter) button
Facebook button
LinkedIn button

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.

Sportello Legale OMaR

Tumori pediatrici: dove curarli

Tutti i diritti dei talassemici

Le nostre pubblicazioni

Malattie rare e sibling

Speciale Testo Unico Malattie Rare

Guida alle esenzioni per le malattie rare

Partner Scientifici

Media Partner