Intento lodevole, ma procedere per singole patologie è la strada giusta?

La Sindrome di Rett, rara patologia neurologica dello sviluppo, colpisce circa una bambina ogni 30.000. La Rett comporta disabilità psicomotoria molto grave, per la quale oggi non esistono cure.
La ricerca scientifica sulla Rett è però estremamente attiva in Italia, pur lamentando la sempre più scarsa copertura economica. A tal proposito, il 26 marzo scorso, è stata presentata una proposta di legge recante “Norme per favorire il finanziamento della ricerca genetica volta alla cura e alla riabilitazione delle bambine e delle ragazze affette dalla Sindrome di Rett” (AS. 323).


Il disegno di legge, presentato da Manuela Granaiola (PD), propone la promozione di forme di aiuto, di assistenza e di sostegno per le persone affette da Sindrome di Rett. Il testo prevede che le Regioni, nell'ambito della programmazione sanitaria regionale, individuino i reparti e gli ambulatori delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, idonei alla diagnosi, alla cura e alla riabilitazione, privilegiando le strutture e i centri sanitari più adeguati già operanti sul territorio.
La proposta prevede che sia in Ministro della Salute, con proprio decreto, a individuare i centri di ricerca per lo studio della Sindrome di Rett, dei relativi protocolli terapeutici e dei presidii farmacologici e riabilitativi idonei. Le regioni dovranno predisporre in seguito idonei corsi di formazione per il personale sanitario, finalizzati alla diagnosi precoce della Sindrome di Rett e alla conoscenza approfondita dei relativi protocolli terapeutici e riabilitativi.

Va tuttavia detto che per questa malattia la situazione del riconoscimento dei centri non è poi così grave: vi sono centri regionali di riferimento riconosciuti in Lombardia, Liguria, Veneto, Trentino, Lazio, Campania, Emilia Romagna, Toscana e Puglia. Che non sempre la qualità di questi centri sia corrispondente al nome che portano è possibile: un problema condiviso da molte patologie che si dovrebbe cercare di affrontare anche attraverso il Piano Nazionale Malattie Rare attualmente in fase di elaborazione.

Per mettere in atto questo piano si propongono anche degli specifici finanziamenti: l’articolo 2 della proposta prevede infatti che si mettano in campo per tutte le attività prospettata di 30 milioni di euro in tre anni (2013-2015). Se ciò venisse approvato potrebbe effettivamente costituire un miglioramento per la ricerca e l’assistenza alle famiglie che si scontrano con la dura realtà di questa patologia, tuttavia c’è un problema. Se questi fondi venissero sottratti al ‘budget generale’ destinato a tutte le malattie rare, già scarso, ciò potrebbe avere una ricaduta negativa sulle persone che soffrono di altre malattie, che magari oggi versano  in una situazione di assistenza ben peggiore. D’altro canto, quando un provvedimento simile era stato approvato per la SLA, non erano mancate le proteste delle altre associazioni. Per quanto sia certamente lodevole cercare di migliorare l’assistenza a determinati malati rimane una domanda di fondo: è un giusto approccio, in presenza di migliaia di differenti malattie rare, chiedere finanziamenti ed interventi per ciascuna singolarmente? Questa modalità di azione non è destinata a rendere svantaggiati i pazienti che soffrono di malattie meno note o particolarmente rare, che non godono dunque di una adeguata rappresentanza nella sedi istituzionali?

 

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