L'interfaccia neurale è stata testata con successo in una donna affetta da sclerosi laterale amiotrofica, che in questo modo ha potuto riacquistare la capacità di esprimersi autonomamente

Uno dei migliori film di Julian Schnabel racconta la storia di Jean-Dominique Bauby, giornalista della nota rivista ELLE che, a soli 43 anni, fu colpito da un ictus le cui conseguenze lo precipitarono in quella che viene definita sindrome locked-in che, letteralmente, significa 'intrappolato', 'chiuso dentro'. In effetti, là particolarità di questa orribile condizione consiste nel fatto che tutte le funzioni motorie del paziente cessano, mentre quelle cognitive rimangono attive e funzionanti. Le cause più comuni sono di tipo vascolare o traumatico, ma la sindrome può associarsi anche a malattie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA).

I soggetti 'locked-in' sono tetraplegici, non possono muovere gli arti e vanno incontro a gravi complicazioni respiratorie e cardiovascolari. In alcuni casi conservano il movimento oculare e delle palpebre, proprio come Jean-Dominique Bauby che, quando si risvegliò dal coma e comprese quali terribili conseguenze aveva prodotto l'ictus, decise di affrontare con coraggio la sua condizione e riuscì a dettare le sue memorie a un infermiere che lo seguiva, consegnandogli la più verace e, per certi versi, spaventosa testimonianza di come possa essere la vita di un uomo prigioniero del suo stesso corpo.

"Lo scafandro e la farfalla" - titolo quanto mai rappresentativo della duplice condizione imposta dalla sindrome locked-in - è un romanzo di 128 pagine che ha richiesto a Bauby oltre 200.000 battiti di ciglio. Grazie alla collaborazione di un infermiere, che intuì le sue condizioni e ingegnò un sistema di comunicazione incentrato sulla frequenza d'uso delle lettere dell'alfabeto, Jean-Dominique fu in grado di mettere per iscritto la sua vita al ritmo di una parola ogni 2 minuti.

Immaginando il senso di frustrazione che si possa generare in un uomo prima abituato a lavorare con centinaia di parole al secondo e poi obbligato a costruire ogni parola, lettera per lettera, con un battito di ciglio, si può comprendere l'entità di un'innovazione come quella emersa in seno al progetto Utrecht NeuroProsthesis (UNP), condotto presso l'Utrecht Brain Center Rudolf Magnus (Germania), grazie alla quale una paziente affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e condannata a convivere con la sindrome locked-in ha potuto riprendere a comunicare con la propria famiglia. Grazie al prodigioso lavoro di un'equipe di medici, ricercatori e ingegneri, è stato possibile mettere a punto un sistema di traduzione degli impulsi nervosi in parole, che ha restituito alla donna la possibilità di comunicare in maniera abbastanza fluida.

La ricerca, pubblicata sulla rivista The New England Journal of Medicine, descrive il caso di una paziente nella quale sono stati impiantati nel cervello degli elettrodi, direttamente collegati a un trasmettitore in grado di tradurre gli impulsi nervosi in parole. "In pratica la paziente è stata dotata di una sorta di controllo a distanza - spiega Nick Ramsey, titolare di una cattedra in Neuroscienze presso lo University Medical Center di Utrecht - che le permette di formulare un discorso senza utilizzare alcun muscolo". Un risultato strabiliante, se si considera che una tecnologia simile ha permesso a Stephen Hawking di consegnare all'umanità le sue teorie sull'origine dell'universo. Di fatto, l'idea alla base del sistema ingegnato dai ricercatori di Utrecht non è molto lontana da quella che dà voce all'insigne astrofisico, anche se, nel caso descritto sulla rivista inglese, la paziente affetta da SLA non muove né un dito né una palpebra, ma immagina di spostare il mouse su una tavola alfabetica computerizzata posta dinanzi a lei: in tal modo, può costruire discorsi e frasi complesse a una velocità superiore a quella con cui Jean-Dominique Bauby comunicava con il suo assistente. Inoltre, nel giro di poco tempo, la paziente si è resa del tutto autonoma, tanto da essere in grado di utilizzare questa tecnologia in casa, per comunicare con i suoi familiari.

La filosofia alla base di questa metodica non è del tutto nuova, dal momento che, proprio nel nostro Paese, qualche anno fa era stata messa a punto una speciale cuffia di elettrodi capace di rilevare i segnali elettrici prodotti dal cervello di pazienti come quelli affetti da sindrome locked-in. L'interfaccia cervello-computer Brindisys (Clicca qui per approfondimenti) constava però di un prototipo esterno, indossabile dal paziente. Il sistema realizzato dai ricercatori di Utrecht è direttamente impiantato nel cervello del soggetto e, pur sembrando un dispositivo di complessa gestione, si è rivelato, in realtà, molto intuitivo e semplice da utilizzare, permettendo alla paziente di sfruttarne le potenzialità in ambiente famigliare e senza il supporto di personale tecnico.

Una vera e propria rivoluzione per questa classe di pazienti, persone che potrebbero finalmente trovare un canale di comunicazione con il mondo per far uscire dal pesante scafandro del proprio corpo la farfalla che abita la loro mente.

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