Angelo Quattrini e Nilo Riva

I meccanismi alla base della sclerosi laterale amiotrofica non sono ancora ben chiari ma la scienza, anche italiana, non si arrende 

Al pari della malattia di Huntington, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una patologia neurodegenerativa per la quale non è ancora disponibile una terapia specificamente in grado di contrastare la progressione dei sintomi. Ciò contribuisce a conferire alla diagnosi di SLA il significato di una sentenza definitiva e inappellabile, contro cui, tuttavia, stanno alacremente lavorando medici e biologi di tutti i laboratori del mondo: infatti, lo svelamento dei complessi meccanismi molecolari che innescano la patologia rappresenta la chiave di volta per realizzare un modello animale accurato su cui valutare nuovi possibili scenari terapeutici. 

La proteina TDP-43 e il legame con l’enzima ciclofillina A

Di recente sono stati pubblicati due interessanti studi aventi come minimo comun denominatore la proteina TDP-43, codificata dal gene TARDBP, la quale interviene nella regolazione del metabolismo dell’RNA: da diversi anni la ricerca scientifica sta guardando al ruolo svolto dagli RNA (codificanti e non codificanti) nello sviluppo di patologie del sistema nervoso. 

In un articolo pubblicato sulla rivista Brain, gli studiosi dell’Istituto Mario Negri e della Città della Salute di Torino, guidati dal prof. Andrea Calvo e dalla dott.ssa Valentina Bonetto, hanno concentrato la loro attenzione sull’enzima ciclofillina A (PPIA), presente in gran quantità a livello dei neuroni ma con una funzione ancora parzialmente sconosciuta; sembra che PPIA sia in grado di ridurre lo stress ossidativo e contrastare gli errori nel processo di ripiegamento delle proteine ma, soprattutto, riesca a interagire con TDP-43, regolandone la funzionalità e le capacità di legarsi ad altri frammenti di RNA, influenzando così l’espressione di alcuni importanti geni, fra cui HDAC6, ATG7, VCP, FUS e GRN, coinvolti nella formazione degli aggregati proteici tipici della SLA. In particolare, i ricercatori piemontesi hanno osservato che in assenza di PPIA si produce un accumulo di proteina TDP-43 capace di indurre una patologia neurodegenerativa che è caratterizzata da sintomi, quali demenza frontotemporale e alterazioni motorie, che sono confrontabili con quelli da cui sono affetti i pazienti con SLA nei quali è stata osservata proprio la carenza di PPIA.

In un altro articolo apparso sulla rivista Scientific Reports, sempre il gruppo di ricerca del prof. Calvo si è concentrato sugli effetti dell’accumulo di ioni calcio nelle cellule quale causa del danno neuronale, cercando i geni che nella SLA erano associati all’aumento della concentrazione intracellulare di calcio. Tra questi c’è anche il gene che codifica per la proteina TDP-43, la quale va incontro a una riduzione conseguente proprio all’aumento di calcio nelle cellule. 

Il ruolo della proteina TDP-43 nella diagnosi precoce di SLA

La proteina TDP-43, dunque, è sotto la lente d’ingrandimento in numerosi studi sulla sclerosi laterale amiotrofica, fra cui quello pubblicato sulle pagine della rivista Brain dal dott. Nilo Riva e dal dott. Angelo Quattrini, dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. La loro ricerca, svolta in collaborazione con i principali istituti scientifici italiani che si occupano di SLA, ha ricevuto il sostegno della Fondazione AriSLA, del Ministero della Salute e della Fondazione Giovanni Marazzina, e ha avuto il merito di evidenziare l’accumulo di TDP-43 nei nervi motori dei pazienti ben prima che abbia inizio il processo di degenerazione assonale considerato il ‘marchio di fabbrica’ della malattia. “La nostra ricerca presenta due elementi di novità”, spiega il dott. Riva, neurologo e ricercatore dell’Unità Operativa di Neurologia del San Raffaele. “Innanzitutto, la proteina TDP-43, che è un marcatore piuttosto specifico per la diagnosi anatomo-patologica di SLA, è stata rivenuta nelle cellule del sistema nervoso periferico, il quale rappresenta un’estensione del sistema nervoso centrale e costituisce più del 95% del volume cellulare potenzialmente interessato dalla malattia. Inoltre, la biopsia del nervo periferico motorio tramite cui abbiamo rilevato la presenza di TDP-43 è stata eseguita su pazienti in fase diagnostica, non in un’analisi post mortem. TDP-43 ha così confermato il suo potenziale diagnostico in un intervento bioptico che potrebbe contribuire all’individuazione precoce non solo della SLA, ma anche di altre neuropatie motorie. “Solitamente, nei malati di SLA la diagnosi è clinica”, precisa il dott. Quattrini. “La biopsia del nervo si esegue in casi dubbi all’esordio della malattia e, in particolare, in pazienti che presentino segni di interessamento del secondo motoneurone. Si tratta di persone per cui sussiste un interrogativo clinico e occorre porre diagnosi differenziale tra la SLA e altre neuropatie motorie, le quali impongono un diverso approccio terapeutico. A differenza della SLA, molte di queste possono essere curabili”.

Col loro lavoro, i ricercatori milanesi hanno così potuto confermare la presenza degli aggregati di proteina TDP-43 in una fase molto precoce anche in aree periferiche del sistema nervoso colpite dalla sclerosi laterale amiotrofica. “Tali aggregati sono un marker di patologia e la possibilità di vederli prima che si instauri la degenerazione assonale tipica della SLA fa supporre che possano avere un ruolo da indagare meglio”, aggiunge Riva. “Dobbiamo studiarli e capire se possono rappresentare un target per future terapie”. A tal proposito, il team di ricerca del dott. Quattrini sta attualmente indagando i meccanismi patogenetici di TDP-43 nel sistema nervoso periferico sia in modelli in vitro (usando le cellule staminali pluripotenti indotte da differenziare in motoneuroni e cellule di Schwann) che in vivo (ricorrendo a modelli di topi transgenici per far esprimere TDP-43 nei differenti tipi cellulari e capire cosa accada dal punto di vista funzionale) per comprendere meglio il ruolo di questa proteina come possibile biomarcatore diagnostico specifico e prognostico innovativo.

Nuovi potenziali marcatori di progressione della SLA: TDP-43 ma non solo

Che gli accumuli di proteina TDP-43 possano avere un significato patogenetico nei pazienti con SLA lo hanno ipotizzato anche gli studiosi guidati dal dott. Amir Dori, direttore della Clinica per le Malattie Neuromuscolari presso lo Sheba Medical Center di Tel Aviv che, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature Communications, hanno descritto come tali accumuli possano condurre alla morte dei motoneuroni. Secondo quanto osservato, l’accumulo di TDP-43 negli assoni e nelle giunzioni neuromuscolari influisce sensibilmente sulla sintesi delle proteine coinvolte nella funzione sinaptica, innescando un processo neurodegenerativo. Ed è proprio l’errato posizionamento di TDP-43, già visibile nelle prime fasi di malattia, ad innescare la formazione dei complessi proteici che provocano il danno neuronale. Ciononostante, i ricercatori israeliani, insieme ai colleghi inglesi e statunitensi, hanno osservato che l’eliminazione di TDP-43 sembra in grado di invertire il cammino patologico della malattia, confermando un interesse non solo prognostico ma anche terapeutico nei confronti di TDP-43. 

La necessità di identificare proteine che correlino con l’aggressività o la progressione di malattia ha guidato le ricerche di un altro gruppo internazionale di scienziati che, sulla rivista European Journal of Neurology, ha pubblicato uno studio sui livelli urinari di neopterina, allo scopo di valutarne l’efficacia come biomarcatore di prognosi e progressione di malattia nei pazienti affetti da SLA. Gli studiosi hanno osservato un incremento della neopterina nei pazienti con SLA rispetto ai soggetti di controllo, suggerendo che questa proteina, normalmente considerata un marcatore dell’attività immunitaria (utilizzata, ad esempio, in pazienti con infezioni virali), possa giocare un ruolo nel predire la possibile progressione della SLA. 

Deterioramento cognitivo e comportamentale nella SLA

Infine, sempre sulle pagine della rivista European Journal of Neurology è stata pubblicata un’altra ricerca tutta italiana volta ad indagare la possibile correlazione tra il danno dei motoneuroni e l’insorgenza di forme di declino cognitivo e comportamentale nelle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica. Tra i tratti tipici della SLA c’è l’incapacità di rigenerazione dell’assone a causa di cui le cellule di Schwann, fittamente avvolte per formare la mielina, vanno incontro a un’irreversibile distruzione. Questo processo può riguardare tanto i motoneuroni inferiori che quelli superiori e può essere accompagnato da deterioramento cognitivo e comportamentale. Utilizzando apposite scale di valutazione, i ricercatori italiani hanno costruito i profili cognitivi e comportamentali di 110 pazienti affetti da SLA, concludendo che alcune disfunzioni del motoneurone superiore possono essere associate a un danno comportamentale evidente e suggerendo, in tal modo, un’ipotesi di sviluppo della malattia che coinvolge aree specifiche del cervello. 

Ognuna di queste ricerche esplora aspetti diversi di una patologia il cui impatto sull’immaginario pubblico è sensibilmente cresciuto, anche per merito del lavoro delle associazioni dei pazienti, da sempre impegnate per far in modo che le persone colpite da SLA non siano dimenticate. Mai come ora c’è bisogno di riunire le tante correnti di ricerca che, come i dendriti di un assone, devono puntare al nucleo, cioè alla scoperta dei meccanismi che originano la malattia, per poter presto identificare una cura risolutiva. 

Leggi anche: “SLA: quali prospettive in ambito terapeutico?

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