Lei ha dato contributi fondamentali alla ricerca delle cause genetiche della talassemia e allo sviluppo di nuove terapie basate sulla correzione di questi difetti. Può farci il punto sullo stato di avanzamento della terapia genica?
È questa la domanda che abbiamo rivolto al Prof. Lucio Luzzatto, direttore dell’Istituto Toscano dei Tumori nel corso della conferenza stampa di presentazione della celocentesi, la nuova tecnica di diagnosi prenatale della malattia.
Al momento la terapia genica ha avuto un successo che non esito a chiamare spettacolare nell’immunodeficienza primaria di tipo ADA, con oltre una decina di casi di guarigione al San Raffale - dice Luzzatto - Per quanto riguarda la talassemia, nell’uomo la terapia genica è stata usata con successo in un solo paziente, e questo esperimento è stato pubblicato solo poche settimane fa: è il caso del ragazzo francese che ormai da tre anni vive senza aver bisogno di trasfusioni. Anche se si tratta solo di un caso a me sembra un risultato clinico importante, che però potrebbe contenere un problema. Il vettore usato per inserire il gene corretto nel genoma del Paziente è andato ad annidarsi infatti in un punto molto delicato: e non è escluso che possa porlo a rischio di sviluppare qualche forma di leucemia. Per fortuna per ora ciò non è avvenuto: è avvenuto però in passato, e in una percentuale preoccupante di casi, in bambini sottoposti a Parigi a una procedura di terapia genica abbastanza simile perché affetti da immunodeficienza primaria da difetto gamma-c (un tipo di immunodeficienza diverso da quello trattato al San Raffaele). Quello che ora è giusto domandarsi è se in questi casi la terapia genica ha funzionato proprio perché il vettore è andato ad inserirsi in certi siti specifici del genoma: questo potrebbe voler dire che il rischio di leucemia è collegato al successo della terapia, ed è perciò essenziale che riusciamo a trovare il modo di dissociare una cosa dall’altra.
C’è già un’idea di come si potrebbe fare per evitare questo?
Una soluzione - riconosco che è una soluzione ambiziosa - potrebbe essere quella di riuscire a pilotare in qualche modo il processo di integrazione del vettore nel genoma, anziché permettere che avvenga essenzialmente a caso. Sono convinto, come espressi per la prima volta negli anni ’80 quando queste cose sembravano lontanissime, che il futuro della terapia genica sia nel processo di ricombinazione omologa. In sostanza se ora siamo riusciti ad far funzionare un gene corretto avendo usato un vettore che va ad aggiungersi al genoma, in futuro una tecnica alternativa potrebbe invece il gene mutato con il gene normale: è questa la ricombinazione omologa o gene targeting.
Che difficoltà presenta la ricombinazione omologa?
La ricombinazione omologa è un evento raro. Perché abbia luogo c’è bisogno di sono presenti nel paziente. Oggi la metodologia per aggirare il problema è già in parte disponibile, attraverso le cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), o cellule adulte riprogrammate, che possono essere coltivate e moltiplicate in modo forse illimitato in vitro. Questo approccio non è ancora mai stato usato in clinica: occorrerà che capiamo meglio il processo di riprogrammazione, che dimostriamo che è innocuo, e che superiamo le prove che gli organismi di controllo giustamente imporranno.
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