Le vasculiti sono un gruppo ampio ed eterogeneo di rare malattie multifattoriali caratterizzate da un'infiammazione dei vasi sanguigni. Questo processo di infiammazione danneggia la parete interna dei vasi interessati e può provocare la formazione di coaguli sanguigni (trombosi) o lo sviluppo di restringimenti e ostruzioni vascolari che limitano l’afflusso di sangue ossigenato ad organi e tessuti. Le vasculiti possono esordire a tutte le età, interessando vene e arterie di qualsiasi tipo e dimensione e coinvolgendo singoli o molteplici organi e tessuti.

La sezione Vasculiti è realizzata grazie al contributo non condizionante di CSL Vifor.

Vasculiti, CSL Vifor

La gamma e la gravità delle manifestazioni associate alle vasculiti sono estremamente variabili. Queste patologie possono presentarsi sia con una sintomatologia generica (febbre, mal di testa, perdita di peso e di appetito, dolori muscolari, articolari e addominali, diarrea, ipertensione e debolezza generalizzata), sia con segni clinici specifici che dipendono dal tipo di vasi e dagli organi coinvolti. Le vasculiti, ad esempio, possono colpire la pelle (lesioni cutanee, porpora), i reni (presenza di sangue nelle urine, insufficienza d’organo), l’apparato respiratorio (asma, tosse, dispnea, infiammazione delle membrane polmonari) e gli occhi (infiammazione oculare, visione offuscata e, in casi molto gravi, perdita della vista).

Tradizionalmente, le vasculiti sono classificate in tre gruppi principali sulla base della dimensione dei vasi sanguigni coinvolti:
- vasculiti con interessamento prevalente dei grandi vasi, come l’arterite a cellule giganti e l’arterite di Takayasu;
- vasculiti con interessamento prevalente dei vasi medi, come la poliarterite nodosa, la malattia di Kawasaki e la malattia di Buerger;
- vasculiti con interessamento prevalente dei piccoli vasi, come le vasculiti associate ad ANCA (che comprendono la granulomatosi con poliangioite [ex granulomatosi di Wegener], la granulomatosi eosinofilica con poliangioite [o sindrome di Churg-Strauss] e la poliangioite microscopica), o come le vasculiti mediate da immunocomplessi (che includono l’angioite cutanea leucocitoclastica, la vasculite crioglobulinemica, la vasculite da immunoglobuline A [o porpora di Henoch-Schonlein] e la vasculite orticarioide ipocomplementemica [o sindrome di McDuffie]).
In alcune forme di vasculite, come la malattia di Behcet e la sindrome di Cogan, la dimensione e la tipologia dei vasi coinvolti possono variare considerevolmente da paziente a paziente.

Fonti principali:
- Orphanet
- National Organization for Rare Disorders (NORD)
- Jennette JC, Falk RJ, Bacon PA, et al. “2012 Revised International Chapel Hill Consensus Conference Nomenclature of Vasculitides” Arthritis & Rheumatism (2013)

Roche ha annunciato i risultati positivi emersi dallo studio di fase III GiACTA, che ha valutato tocilizumab in pazienti affetti da arterite a cellule giganti (ACG). Lo studio ha soddisfatto l’endpoint primario ed i principali endpoint secondari, dimostrando che tocilizumab, inizialmente associato a un regime a base di steroidi (glucocorticoidi) della durata di sei mesi, ha mantenuto in modo più efficace la remissione nell’arco di un anno rispetto a un regime esclusivamente steroideo di sei o 12 mesi in soggetti con ACG di nuova diagnosi o recidivata. Al momento di questa analisi, non sono stati riscontrati nuovi segnali di sicurezza con tocilizumab nell’ambito dello studio. Gli eventi avversi si sono rivelati simili a quelli osservati nei precedenti studi clinici condotti su tocilizumab.

Elisa vive in un paesino nella provincia di Pordenone, ha 51 anni e da oltre 23 soffre di una malattia rara, che purtroppo le è stata riconosciuta e diagnosticata solo sette anni fa. Il nome che utilizza per raccontarsi è di fantasia, ma la realtà è tutt’altro che fantastica: per quindici lunghi anni la sua malattia, la granulomatosi di Wegener, è stata scambiata per asma allergica, per la quale veniva erroneamente curata. Si tratta di una patologia rara che si manifesta con necrosi e granulomi nella mucosa delle vie aeree e nel polmone con una prevalenza stimata tra 1/42.000 e 1/6.400 abitanti e un'incidenza annuale che varia tra 2 e 12 per milione.

Una consistente frazione dei farmaci impiegati contro le malattie rare ha l'obiettivo di allungare quanto più possibile la sopravvivenza dei pazienti ma, nel valutare lo stato di un malato al fine di garantire la miglior scelta terapeutica, esiste anche un altro importante parametro che deve essere preso in considerazione: la qualità di vita. Lungi dall'essere considerato un criterio di secondo livello, esso diventa la chiave di volta nell'affrontare patologie altamente invalidanti come la malattia di Behcet, una malattia sistemica, caratterizzata da un gran numero di ulcere a livello del cavo orale e dei genitali, dalla presenza di follicolite su volto, tronco e arti e, in una percentuale compresa tra il 20 e il 50% dei casi, da uveite, irite o neurite ottica che possono condurre a cecità.

DLX105, un frammento anticorpale a catena singola piccolissimo ma molto potente, diretto contro il TNF-alfa, sembrerebbe essere efficace nel trattamento delle recidive della malattia di Behcet. Queste sono le conclusioni promettenti di uno studio pilota in Fase II presentato nel corso del congresso annuale dell'EADV (European Academy of Dermatology and Venereology), tenutosi lo scorso autunno a Copenaghen, in Danimarca.

Prevenire le trombosi e utilizzare terapie più efficaci per curarle. E’ la prospettiva aperta dallo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Firenze, pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica Circulation (“Neutrophil Activation Promotes Fibrinogen Oxidation and Thrombus Formation in Behçet's Disease”). I ricercatori dei Dipartimenti di Medicina sperimentale e clinica e di Scienze biomediche sperimentali e cliniche “Mario Serio” - coordinati da Domenico Prisco e Claudia Fiorillo - hanno svolto una ricerca su 98 pazienti affetti da malattia di Behçet, individuando nello stress ossidativo delle cellule del sangue la causa delle trombosi.

LONDRA (REGNO UNITO) – Un gruppo di studiosi inglesi ha valutato se l’aggiunta di peginterferone alfa-2b sottocutaneo per 26 settimane possa ridurre la necessità di corticosteroidi sistemici e dei convenzionali farmaci immunosoppressori nei pazienti con malattia di Behçet. I risultati sono stati resi noti sulla rivista Annals of the Rheumatic Diseases.

L’anticorpo monoclonale gevokizumab non ha raggiunto l’endpoint principale di aumento del tempo alla prima esacerbazione oculare acuta nello studio di fase III EYEGUARD-B condotto in pazienti con malattia di Behçet che soffrono di uveiti. Lo ha reso noto Xoma Corporation, l’azienda che sta sviluppando il farmaco.

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