Nevio Dubbini e Marta Gaia Zanchi hanno spiegato agli specializzandi in neurologia i segreti della digital health
Pisa – È impossibile ignorare le potenzialità e i cambiamenti introdotti dalla digital health, la sanità digitale. Sicuramente non possono permettersi di ignorarlo i giovani specializzandi in neurologia: a loro è stato dedicato un workshop nel corso dell'evento “#CrossRoads – Percorsi integrati nelle terapie neurologiche”, che si è svolto il 21 e 22 settembre a Pisa presso la Scuola Superiore Sant'Anna, su iniziativa di Sanofi Genzyme. A spiegare agli specializzandi le sfide che rappresentano le nuove tecnologie sono stati Nevio Dubbini, CEO di Miningful Studio, Marta Gaia Zanchi, Professore Associato presso la Stanford School of Medicine e Giuseppe Turchetti, dell'Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Il tema del workshop, ovvero la gestione del paziente neurologico, è stato affrontato attraverso il patient journey, ovvero il percorso affrontato dal paziente, che va dalla fase di consapevolezza e riconoscimento dei sintomi, passando per la diagnosi e la selezione dei trattamenti, fino al follow-up. È in questo percorso e in tutto ciò che lo riguarda, sia dalla parte del paziente che da quella del sistema sanitario, che i contributi della scienza e delle tecnologie possono combinarsi per portare a maggiore efficienza e migliori trattamenti. Il patient journey è ormai anche digitale, perché coinvolge una serie di tecnologie che generano dei dati: dai dispositivi indossabili ai social media, dai dati ospedalieri a quelli sui costi, dagli screening agli esami diagnostici.
“Da una parte la ricerca e le tecnologie introducono nuovi e più efficaci trattamenti, tecniche, cure e prassi. Dall'altra tutti i dati generati durante il patient journey sono essenziali per far sì che queste innovazioni siano sfruttate al meglio”, spiega Nevio Dubbini. L'azienda da lui guidata opera nell'ambito dell'intelligenza artificiale, dei big data e della statistica. Nei settori biomedico e pharma, in particolare, i servizi di Miningful Studio si rivolgono alla ricerca per ottimizzarne i risultati, migliorare la qualità e accelerare la pubblicazione dei lavori. “Incrociando i dati come fattori di rischio, sintomi, risultati di esami diagnostici e monitoraggio dei pazienti si possono ottenere diagnosi precoci, che spesso sono al confine fra un trattamento applicabile o non applicabile, e che significano cure più efficaci e migliore qualità di vita per i pazienti. Si può fare prevenzione primaria, si possono ottenere modelli predittivi, fino a spingersi alla cosiddetta medicina personalizzata”, prosegue Dubbini.
“Per questo è necessario incrociare, correlare e far dialogare dati che ora non dialogano o che sono inaccessibili. Dati di strutture ospedaliere non disponibili per altre strutture, dati di patologie o di specifici ambiti non disponibili a chi si occupa di altre patologie o altri ambiti. Il modo per rendere disponibili questi dati in maniera che possano esprimere tutta la loro potenzialità, finora ampiamente inespressa, si chiama Linked Open Data: un paradigma che sta creando una rete globale di dati liberamente accessibili, i cui contenuti possano essere scambiati e interpretati dagli algoritmi. I computer possono così viaggiare tra un insieme di dati e l'altro esattamente come oggi viaggiano attraverso le pagine web. Questo paradigma permetterebbe di far intervenire in maniera collaborativa, strutturata ed efficace le competenze e le informazioni provenienti da ambiti e background diversi, ma che concorrono alla risoluzione dello stesso problema”, conclude Dubbini.
“L'innovazione è un processo che può essere appreso, praticato, perfezionato, e che inizia con un bisogno. Alcuni inventano una tecnologia e sperano che possa rispondere a una domanda. L'approccio migliore parte dall'osservazione, dalla comprensione profonda di un bisogno e del suo complesso ecosistema di stakeholders, dalla quale nasce il DNA dell'invenzione tecnologica: questo processo si chiama Biodesign”, sottolinea Marta Gaia Zanchi. Bergamasca, dopo una laurea in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano ha deciso di proseguire i suoi studi con un dottorato negli Stati Uniti. Da 13 anni vive nel cuore della Silicon Valley e si divide fra l'insegnamento presso la Stanford University, dove dirige il corso di Biodesign in Digital Health, l'imprenditoria (ha creato una startup) e l'attività di consulente e “equity partner” per gli investitori nell'ambito dell'industria. Di recente ha promosso una nuova iniziativa, che interesserà l'Europa a partire dal 2019.
“L'innovazione riguarda qualunque area della medicina: è ormai difficile immaginare una sanità priva di nuove tecnologie, come i sistemi di supporto alle decisioni cliniche, le app mediche o i sensori connessi per il monitoraggio. Questo scenario, che si sta continuamente evolvendo, porta a ridiscutere sia il ruolo del medico che il suo rapporto con il paziente, che resta al centro del processo di guarigione e che la tecnologia deve riuscire a supportare (e non il contrario!)”, conclude Marta Gaia Zanchi. “A Stanford Biodesign abbiamo realizzato tante soluzioni innovative nell'ambito healthcare (clicca qui per una panoramica). Spero che questo workshop sia stato utile per dare i giusti stimoli e qualche suggerimento ai giovani che si apprestano ad entrare nel mondo della medicina, e che dovranno farlo con lo sguardo orientato verso il futuro”.
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