acalasia esofagea, Prof.Giovanni ZaninottoIl Prof. Giovanni Zaninotto: “Per la diagnosi è necessaria una manometria ad alta definizione. Manca inoltre una scala di valutazione dei sintomi basata sull'esperienza del paziente”

Londra (Regno Unito) – Il termine "acalasia" deriva dal greco e significa "mancato rilasciamento": fu coniato da un medico inglese, A.F. Hurst, nel 1930 e ben rappresenta la principale condizione di una malattia, l'acalasia esofagea, nella quale, al momento della deglutizione, non avviene il rilascio della parte terminale dell’esofago, il cardias. Il bolo alimentare non riesce a passare nello stomaco: rimane bloccato nell’esofago e il paziente ha la sensazione di non riuscire ad inghiottire (un sintomo chiamato disfagia). Il bolo alimentare può tornare in bocca (rigurgito) immediatamente o anche a distanza di qualche ora dal pasto e si possono presentare dolori toracici, più frequenti nella fase iniziale della malattia. Spesso il paziente impara a bere dei liquidi per aumentare il peso del bolo bloccato nell’esofago e spingerlo giù nello stomaco, ma durante la notte può avere comunque tosse o rigurgiti di saliva.

Per questa fastidiosa patologia sono state recentemente pubblicate in modalità open access, sul giornale Diseases of the Esophagus, le Linee Guida Internazionali per l'Acalasia Esofagea. Queste raccomandazioni sono il risultato del lavoro svolto dal prof. Giovanni Zaninotto e dal dr. Donald Low, che hanno coordinato un gruppo composto da 51 esperti (31 gastroenterologi e 20 chirurghi) provenienti da 12 Paesi diversi (Stati Uniti 19, Italia 8, Brasile 7, Belgio 4, Regno Unito 3, Germania 2, Francia 2, Australia 2, Argentina 1, Olanda 1, Giapppone 1, Cina 1), 3 pazienti dell'associazione ALMA Onlus e 1 consulente scientifico. Il documento riguarda tutti gli aspetti della malattia, dalla diagnosi al trattamento, fino alle recidive, frequenti nell'acalasia.

La causa dell'acalasia esofagea non è chiara: è probabilmente una malattia autoimmune, forse legata a un virus come quello dell'herpes. È una malattia relativamente rara, con una prevalenza di 1 caso su 100.000 abitanti l'anno, anche se uno studio australiano la fissa a 2,5 su 100.000. Però, dato che non si tratta di una patologia mortale, l'incidenza è molto maggiore: 10 casi su 100.000, un numero abbastanza rilevante”, spiega il prof. Giovanni Zaninotto, Visiting Professor presso l’Imperial College di Londra.

“Per l'acalasia i farmaci disponibili (Ca++ inibitori, nitroderivati, sildenafil) hanno scarsa efficacia e comunque possono essere utilizzati solo per brevi periodi, come ponte in attesa di trattamenti più efficaci e duraturi. Tutti gli interventi per l'acalasia hanno l'obiettivo di permettere il passaggio del cibo attraverso lo sfintere esofageo inferiore (cardias), che in questi pazienti è chiuso, mediante la distruzione delle fibre muscolari che lo compongono: tale risultato viene ottenuto con una serie di dilatazioni pneumatiche del cardias o mediante la sezione delle fibre muscolari (miotomia). La miotomia può essere effettuata per via laparoscopica o per via endoscopica. Va tenuto presente che – soprattutto nel lungo periodo (10-20 anni) – molti pazienti possono presentare nuovamente i sintomi e devono subire ulteriori trattamenti”, prosegue Zaninotto.

Le nuove linee guida sono state accreditate dall'ente inglese NICE (National Institute for Health and Care Excellence), che ne ha accertato la corretta metodologia. Non si tratta delle prime sull'acalasia esofagea: in passato ne sono state pubblicate altre due, ma gli esperti coinvolti erano tutti americani, e tutti gastroenterologi o chirurghi. Queste raccomandazioni, invece, hanno coinvolto un panel internazionale molto più ampio e soprattutto – come richiesto dal NICE – hanno incluso anche alcuni pazienti, tutti italiani e facenti parte dell'associazione ALMA Onlus.

“Le linee guida sono come una mappa, una fotografia della situazione attuale: quindi in futuro dovranno necessariamente essere aggiornate. Uno dei punti fondamentali di questo documento è che per fare la diagnosi è necessaria una manometria ad alta definizione, uno strumento introdotto negli anni 2000 e presente ancora in poche strutture ospedaliere. Un altro problema rimasto aperto è la mancanza di una scala di valutazione dei sintomi basata sull'esperienza del paziente. Oggi utilizziamo la Eckardt Score, una scala molto semplice che viene compilata dal medico, sviluppata negli anni '80 e mai validata: occorre invece una nuova scala di misura, che il paziente possa compilare da solo senza l'influenza del medico”, continua il professore.

La redazione di linee guida è un processo complesso, che prevede una revisione sistematica della letteratura e l'elaborazione di una serie di statement, i quali incontreranno (o meno) il consenso di un gruppo di esperti (panel) nei tre round di votazioni previste dal metodo Delphi. Un'affermazione viene accettata se raggiunge almeno l'80% dei consensi. “Esistono temi, come ad esempio il trattamento del diabete, sui quali l'evidenza della letteratura è molto elevata e il consenso è pressoché unanime – conclude Zaninotto – mentre per altre patologie, come l'acalasia e in generale le malattie rare, l'evidenza è più debole e c'è la necessità di una discussione per formulare delle indicazioni diagnostiche o terapeutiche valide”.

Scarica QUI le Linee Guida Internazionali per l'Acalasia Esofagea.

Leggi anche l'articolo “Acalasia esofagea, per i pazienti c'è l'associazione ALMA Onlus”.

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