Pochi mesi fa si parlava dei primi ricoveri in Cina dovuti al nuovo Coronavirus; oggi, il contagio è globale e tuttora in aumento. Per fortuna, il mondo non resta a guardare
Dicembre 2019, mercato di Wuhan: il virus oggi conosciuto come SARS-CoV-2 esce allo scoperto. Sono passati circa tre mesi da quelle prime notizie lette sul web, ma quando finirà la pandemia? Nessuno lo sa. L’impatto globale della malattia COVID-19, a livello economico, sociale, storico, istituzionale e scientifico - è (e sarà) profondo, e alcune fondamentali informazioni per gestire al meglio la pandemia ancora ci sfuggono, ad esempio il numero degli asintomatici. Il 15 marzo è stato però un giorno importante, dato che nessun caso di Coronavirus è stato registrato a Wuhan e Hubei, le province cinesi più colpite. Numeri che danno speranza, anche se in Italia, purtroppo, siamo ancora lontani da quel traguardo. Con 105.792 casi totali, 77.635 attualmente positivi e 12.428 decessi (dati aggiornati 31 marzo 2020, fonte: Ministero della Salute), abbiamo raggiunto il triste primato del Paese con il più alto numero di morti, superando anche la Cina, e siamo a tutti gli effetti il nuovo epicentro del virus.
I virus e il SARS-CoV-2
Nella storia dell’umanità, i virus ci sono sempre stati e sempre ci saranno, anche grazie alla loro innata capacità di mutare e saltare da un ospite all’altro e anche da una specie all’altra (il cosiddetto spillover). Più nello specifico, i Coronavirus appartengono a una grande famiglia di virus in grado di provocare sintomi influenzali blandi, ma anche alcune infezioni più serie. Sono stati scoperti negli anni ’60 e, ad esempio, sono la causa del raffreddore nell’uomo, dell’epatite nei topi e della gastroenterite nei maiali. Il SARS-CoV-1 è stato il primo rappresentante dei Coronavirus a causare una grave sindrome nell’uomo, seguito a ruota dall’attuale virus. Il SARS-CoV-1 è infatti il virus responsabile dell’epidemia della SARS (Sindrome Acuta Respiratoria Severa) e ha un genoma simile a quello dell’attuale SARS-CoV-2 (per questo il nome analogo). In pochi mesi, tra il 2002 e il 2003, la SARS ha causato più di 8.400 casi e 812 decessi (dati OMS). Fu una epidemia a focolai localizzati e, grazie alle misure prese (e a una buona quantità di fortuna), non sfociò in una pandemia.
Ma perché i virus sono così sfuggenti? “Perché sono davvero minuscoli, organismi con una struttura semplice ma ingegnosa, un’anomalia biologica che permette loro di risparmiare risorse ed è, in certi casi, diabolicamente subdola. Gli esperti non sono nemmeno certi che si tratti di veri e propri esseri viventi”, spiega David Quammen nel libro intitolato “Spillover”. È proprio così. Ancora oggi, gli scienziati non sono certi che questi piccoli organismi parassiti possano essere inclusi tra i viventi, a causa della loro semplice struttura e di alcune caratteristiche che gli altri esseri viventi hanno. Non possono trasformare il cibo attraverso un sistema metabolico, non possono riprodursi da soli, non hanno vita autonoma, ma hanno bisogno di altre cellule. E sono “diabolicamente subdoli”, come dice Quammen nel suo libro, un saggio scientifico ma anche un reportage, in cui viene descritto il lavoro dei cosiddetti cacciatori di virus, scienziati alla ricerca di informazioni sulle malattie infettive in posti remoti del mondo, tra foreste e grotte abitate dai pipistrelli. Pubblicato nel 2012, ma quanto mai attuale, nelle ultime settimane il volume è tornato in vetta alle classifiche di vendita.
Tornando al virus SARS-CoV-2, ogni singola particella da cui è composto – che in linguaggio tecnico si chiama virione – misura 90 nanometri (un nanometro è un miliardesimo di metro). Per fare un paragone, è 10.000 volte più piccolo del diametro di un capello umano. Al suo interno contiene quattro proteine essenziali e un piccolo pezzo di materiale genetico sotto forma di RNA. Il nome Coronavirus fa pensare a una corona, ma perché? I virus appartenenti a questo gruppo hanno la caratteristica di avere sulla superficie delle proteine, chiamate “spike”, che funzionano come una sorta di uncino e che permettono a questi virus di legarsi alle cellule dell’ospite (animale o umano) e di entrare al loro interno. Il SARS-CoV-2 si lega in modo preferenziale alle cellule del tratto respiratorio, causando gli ormai ben noti sintomi. Una volta entrato nella cellula, il virus rilascia il proprio RNA, che contiene le informazioni per la produzione di nuovi virioni, i quali, poi potranno infettare altre cellule.
Combattere il SARS-CoV-2
Approfondire la conoscenza del SARS-CoV-2 ci permette di trovare ‘armi’ efficaci contro la malattia COVID-19. Ad esempio, alcuni farmaci possono agire nell’ambito del processo di replicazione dell’RNA, cioè la fase in cui l’informazione ‘vitale’ del virus viene ‘fotocopiata’ per essere collocata in nuovi virioni. Un’alternativa prevede l’utilizzo di molecole in grado di comportarsi come analoghi e di sostituire i singoli ‘mattoncini’ (nucleotidi) che compongono l’RNA. Con questa tecnica, durante la fotocopiatura dell’informazione, vengono inserite delle parti non funzionanti, in maniera tale da far saltare il processo e da rendere inutile o dannosa l’informazione stessa. Un esempio di questa possibile soluzione è il farmaco remdesivir, prodotto da Gilead Science contro l’Ebola. La ricerca su questa malattia era arrivata a provare la sicurezza del medicinale negli umani, ma un’altra opzione è risultata più efficace e remdesivir non è più stato preso in considerazione. Ad oggi, il farmaco è l’unico in sperimentazione di Fase III per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2 e si aspettano risultati in tempi brevi. Altre molecole sono in via di studio e le sperimentazioni cliniche in corso sono più di 100, ma la strada è ancora lunga.
Oltre al virus, il sistema immunitario umano è un altro possibile ‘obiettivo’ di potenziali opzioni terapeutiche. Su questo fronte, un farmaco sul quale si sta puntando è il tocilizumab, un anticorpo monoclonale in grado di modulare la risposta immunitaria. In Italia, l’AIFA ha approvato un trial clinico di Fase II per valutarne l’efficacia e la sicurezza nel controllo dell’infiammazione polmonare dovuta a COVID-19. Sempre in tema di difese immunitarie, oltre a testare farmaci già esistenti, si sta procedendo anche allo studio di nuove strategie: AlloVir, ad esempio, ha recentemente dichiarato che amplierà la sua collaborazione di ricerca con il Baylor College of Medicine per lo sviluppo di una terapia cellulare a base di linfociti T virus specifici. La tecnologia ALVR106 studiata dall’azienda statunitense - inizialmente pensata per il virus sinciziale respiratorio, l’influenza, il virus della parainfluenza e il metapneumovirus umano - potrebbe essere efficace anche contro il SARS-CoV-2 e altri ceppi di Coronavirus. Un gruppo di scienziati, invece, sta analizzando il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alla malattia COVID-19. Lo studio, pubblicato il 19 marzo su Nature Medicine, è il primo approccio di questo tipo nei confronti del Coronavirus e può aiutare nella ricerca di un farmaco o di un vaccino. Vaccino che, negli USA, è attualmente in sperimentazione sugli esseri umani (è già stato somministrato al primo paziente), ma che richiederà almeno altri 18 mesi per poter eventualmente arrivare sul mercato. Bisogna però sottolineare che, ad oggi, non è possibile conoscere l’efficacia o la durata di questo tipo di protezione da una successiva infezione.
La risposta globale al SARS-CoV-2
Dalla Cina all’Italia, e poi al resto del mondo in poche settimane: la velocità di trasmissione di questo nuovo virus è alta, molto più alta rispetto al SARS-CoV-1. Questa caratteristica va di pari passo con la crescente globalizzazione, perché senza aerei, treni, auto e navi, il virus non avrebbe raggiunto l’altro capo del mondo in così poco tempo, arrivando a contagiare 693.282 persone (dati aggiornati al 30 marzo 2020, fonte: OMS). Ma la globalizzazione, per fortuna, ha anche un valore positivo, come si può constatare guardando alla ricerca. La scienza, infatti, si sta mobilitando contro il SARS-CoV-2, con centinaia di pubblicazioni in pochi giorni che evidenziano lo sforzo di trovare una soluzione anche grazie alla condivisione di informazioni tra i vari gruppi di ricerca. Il 16 marzo è stato pubblicato il COVID-19 Open Research Dataset (CORD-19), che raccoglie 24mila studi, sia da riviste scientifiche che da fonti come bioRxiv e medRxiv, siti web in cui è consentito pubblicare studi non sottoposti a peer-review. È la più grande collezione di pubblicazioni sul tema e verrà aggiornata man mano che gli studi aumenteranno.
In Cina, i trial clinici sulla malattia COVID-19 sono molti, ma ora che il numero di casi è in diminuzione sarà più difficile farne di nuovi. In Italia, invece, oltre al fatto che il Paese è ancora in piena emergenza, mancano i mezzi per affrontare un percorso di sperimentazioni sul SARS-CoV-2. Per tentare di superare queste singole difficoltà nazionali, e di massimizzare gli sforzi della scienza nella lotta al SARS-CoV-2, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente affermato di voler lanciare un trial clinico che coinvolge più Paesi per studiare potenziali terapie per il trattamento dell’infezione COVID-19. Lo studio si chiamerà SOLIDARITY e avrà l’obiettivo di testare quattro farmaci (o combinazioni di farmaci) già autorizzati e usati per altre malattie. I farmaci da testare sono: l’antivirale remdesivir; una combinazione di due farmaci anti-HIV, il lopinavir e il ritonavir; il lopinavir e il ritonavir più l'interferone beta; la clorochina, un farmaco antimalarico. Tutti mostrano alcune prove di efficacia contro il virus SARS-CoV-2, sia in vitro che in studi su modelli animali. I Paesi che hanno già aderito sono Argentina, Bahrain, Canada, Francia, Iran, Norvegia, Sudafrica, Spagna, Svizzera e Thailandia, mentre il COVID-19 Solidarity Response Fund ha raccolto oltre 43 milioni di dollari di finanziamento da oltre 173mila donatori, tra privati e organizzazioni.
La solidarietà e la collaborazione internazionale sono ora più che mai fondamentali. Medici, infermieri e operatori sanitari di tutto il mondo si stanno mettendo a rischio di contagio per curare i pazienti: dobbiamo agire velocemente, per il nostro bene e quello di tutta la comunità. Episodi di discriminazione, di ‘caccia all’untore’ e di disinformazione, purtroppo, rappresentano una parte dell’emergenza stessa e, fin dai tempi antichi, hanno sempre accompagnato epidemie e pandemie. Come scritto in un articolo sulla storia delle epidemie di David S. Jones, pubblicato pochi giorni fa su The New England Journal of Medicine, “Il futuro di COVID-19 non è ancora chiaro (e potrei rimpiangere queste parole entro la fine dell'anno). Ciononostante, i cittadini e i loro leader devono riflettere attentamente, soppesare i rischi nel contesto e perseguire politiche commisurate all'entità della minaccia. […] La storia delle epidemie offre notevoli consigli, ma solo se la gente conosce la storia e risponde con saggezza”.
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