Il prof. Salvatore Cannavò (Messina): “Per accorciare i tempi di diagnosi è necessario unire le competenze dei diversi specialisti”
Cagliari – Quante sono, in Italia, le persone affette da malattie rare endocrino-metaboliche? Il numero non è noto, perché le patologie di questo tipo riconosciute dai LEA, e quindi soggette all'inserimento nel registro nazionale, sono solo qualche decina, sulle oltre 150 censite pochi anni fa. A sottolineare questa problematica è Salvatore Cannavò, professore ordinario di Endocrinologia dell'Università di Messina e direttore dell'U.O.C. di Endocrinologia del Policlinico “G. Martino” di Messina.
“Quantificare il numero dei pazienti italiani è complicato, ma si tratta di sicuro di un numero rilevante”, spiega il prof. Cannavò. “Le diverse malattie rare endocrino-metaboliche hanno ovviamente un'incidenza molto variabile, ma quelle che sono state riconosciute dai LEA hanno in generale un'incidenza molto bassa, quindi sono malattie ultra-rare o comunque rarissime. D'altro canto ce ne sono tante altre – ne cito due per tutte, la sindrome di Cushing e l'acromegalia – che non sono riconosciute dai LEA ma che hanno una prevalenza abbastanza alta, pur rientrando ampiamente nelle malattie rare: circa 60-70 casi per milione di abitanti per l'acromegalia e 30 casi per milione di abitanti per il Cushing. Se parliamo invece di incidenza, si tratta di circa 4-6 nuovi casi l'anno per milione di abitanti per l'acromegalia e 2-3 per il Cushing. Anche la malattia di Addison non è riconosciuta come malattia rara”.
Di queste patologie rare si è parlato nel corso dell’evento “Parliamo di Ma.R.E. in Italia”, organizzato dalla SIE (Società Italiana di Endocrinologia) e dalla SIEDP (Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica), che si è svolto a Cagliari il 7 e l'8 marzo scorsi.
Non è facile comprendere quali sono i meccanismi che portano a includere una patologia nei LEA e ad escluderne un'altra. “Noi, come Società Italiana di Endocrinologia, da molti anni cerchiamo di perorare le istanze dei pazienti rispetto a queste malattie non riconosciute. Sicuramente c'è un fattore legato alla gestione dei costi, perché è chiaro che l'inserimento nei LEA di una malattia rara implica anche delle problematiche di tipo economico. E poi indubbiamente c'è anche un fattore legato all'informazione e alla pressione da parte delle associazioni dei pazienti. Faccio un esempio: le malattie neuromuscolari sono ampiamente riconosciute perché Telethon ha fatto un lavoro di sensibilizzazione molto importante. Un altro esempio è il cheratocono, una malattia degenerativa della cornea riconosciuta dai LEA. Nel registro regionale siciliano delle malattie rare, nel 2023, è risultata la patologia più registrata, più delle malattie neuromuscolari e di quelle neurologiche: evidentemente è rara, ma non così tanto; ci sono sicuramente malattie più rare che però non sono riconosciute”, prosegue il prof. Cannavò.
Le società scientifiche SIE e SIEDP si impegnano da molti anni per far conoscere meglio queste patologie, svolgendo un'attività di formazione rivolta soprattutto ai giovani medici (ma non solo agli specializzandi), attraverso webinar e incontri periodici. La novità è quella di aver voluto avviare un programma congiunto. “Il corso che si è appena concluso, 'Parliamo di Ma.R.E. in Italia', è nato come un corso regionale in Sicilia e adesso è diventato l'unico grande evento nazionale nell'ambito delle malattie rare endocrino-metaboliche. Questo progetto ha l'obiettivo di fare formazione nell'ambito della classe medica, ma anche di coinvolgere le associazioni dei pazienti e gli altri stakeholder a tutti i livelli”, continua Cannavò.
Un altro tema trattato a Cagliari, nel corso di una tavola rotonda moderata dal direttore di OMaR, Ilaria Ciancaleoni Bartoli, è quello del progetto JARDIN, che nasce dall'esigenza di trasferire nella pratica assistenziale i principi delle Reti di Riferimento Europee sulle malattie rare (ERN), e di unificare e uniformare a degli standard comunitari l'assistenza sanitaria che viene erogata. “Di fatto l'ERN è una rete virtuale, è un network di centri che hanno condiviso un modello organizzativo”, spiega il prof. Cannavò. “Ora il progetto JARDIN si propone di trasferire nella pratica clinica, quindi nella quotidianità, i principi a cui tutti i centri ERN devono adeguarsi. Mi auguro che questa attività, questo processo di sviluppo, sia adeguatamente supportato anche dal punto di vista dei finanziamenti, perché sappiamo che le risorse sono poche, ma nel caso dei malati rari sono ancora meno”.
Uno dei concetti cardine delle reti ERN è la multidisciplinarietà, e ciò significa coinvolgere più culture e più competenze: la collaborazione intersocietaria fra SIE e SIEDP va proprio in questa direzione. “Noi in questo momento abbiamo un problema: dobbiamo far conoscere le malattie di cui ci occupiamo non solo ai medici generici, ma anche ai colleghi che hanno una specializzazione diversa dalla nostra. Per accorciare i tempi di diagnosi occorre ampliare la collaborazione tra le società scientifiche e veicolare questi messaggi attraverso attività di formazione e simposi congiunti”, conclude il prof. Cannavò. “Perché se un paziente ha una malattia endocrina, ad esempio, quella patologia potrebbe implicare anche un problema neurologico, e il neurologo potrebbe rappresentare il primo specialista che visita il paziente: perciò è importante mescolare le competenze”.
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