Per patologie di tipo ematologico, come i linfomi e le leucemie, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche è considerato la principale opzione curativa ma uno dei rischi ad esso associati è il sovraccarico di ferro che si produce con le numerose trasfusioni a cui i pazienti sono necessariamente sottoposti. L'aumento di concentrazione del ferro a livello dei tessuti ha gravi conseguenze perché l'organismo non ha modo di impedirne il progressivo accumulo o di favorirne l'eliminazione pertanto, oltre la soglia di tossicità di questo elemento così importante e al contempo così pericoloso, possono manifestarsi problemi a pancreas, cervello, fegato e cuore. Infatti, al di sopra una certa dose le proprietà ossidanti del ferro danneggiano i tessuti: a livello del cuore ciò comporta l'insorgenza di cardiopatie di tipo emocromatosico che richiedono l'inizio di una terapia ferro-chelante per evitare complicanze altrimenti letali, come aritmia, scompenso ventricolare e insufficienza cardiaca.
I più conosciuti farmaci ad azione ferro-chelante sono la deferoxamina (DFO) e il deferasirox (DFX) che, nei pazienti affetti da talassemia, politrasfusi e con sovraccarico di ferro a livello cardiaco, hanno dato risultati clinicamente interessanti. Purtroppo, non sempre la terapia a base di DFX o DFO ha prodotto una buona riduzione della quantità di ferro, sollevando problemi legati ai tempi d'inizio e ai tassi di adesione da parte dei pazienti, che spesso tollerano con difficoltà le numerosissime iniezioni e gli effetti, locali e sistemici, che queste comportano. La combinazione di DFX e DFO può aumentare significativamente i tassi di rimozione del ferro sia dai tessuti epatici che cardiaci, permettendo l'impiego di dosi più basse di farmaci ferro-chelanti con riduzione degli effetti collaterali e dei potenziali eventi avversi per il paziente.
La pubblicazione su Blood dei risultati dello studio Hyperion getta luce sulla sicurezza e sugli effetti, in una coorte di pazienti con emocromatosi cardiaca da trapianto, di un regime di trattamento combinato di DFX e DFO a cui è stato fatto seguire, nel momento in cui è sceso il rischio di insufficienza cardiaca, un trattamento a base di solo DFX. Lo studio – condotto tra il 2011 e il 2013 in un nutrito gruppo di centri di tutto il mondo – ha arruolato 60 pazienti (59 dei quali affetti da talassemia major) che sono stati sottoposti a valutazione del mT2* a 6, 12, 18 e 24 mesi.
Esistono diversi metodi per valutare il sovraccarico di ferro: la biopsia epatica che permette di risalire alla LIC (Liver Iron Concentration, concentrazione di ferro epatico), la risonanza magnetica e la valutazione del tempo di rilassamento T2. La quantificazione del ferro mediante calcolo del tempo di rilassamento star (mT2*) è ancora più sensibile e si basa sul fatto che il T2* è inversamente proporzionale alla quantità di ferro cardiaco, fornendo la concentrazione di ferro cardiaco (MIC).
In accordo con il razionale dello studio – che consisteva nel valutare la possibilità di usufruire di una terapia più aggressiva per abbassare rapidamente la quantità di ferro nell'organismo, scongiurando l'insorgenza di cardiopatie potenzialmente letali, passando poi ad una terapia mono-farmaco, di lunga durata e maggior tollerabilità, quando il rischio fosse stato minore – in tutti coloro nei quali nei primi mesi è stato registrato un incremento di mT2 del 10% c’è stata la possibilità di passare al solo trattamento a base di DFX.
I soggetti arruolati avevano tutti alti valori di ferro iniziali ma la combinazione di DFX e DFO, seguita poi da solo DFX, ha prodotto un miglioramento clinicamente significativo a livello di mT2* sia dopo 12 mesi (9% rispetto al basale) che dopo 24 mesi (30% rispetto al basale). È stato possibile osservare che una consistente fetta di pazienti (25%) ha avuto modo di passare al mono-trattamento dopo un limitato periodo di terapia combinata, durante la quale la concentrazione di ferro è scesa in maniera progressiva. Inoltre, i ricercatori hanno registrato un rapido abbassamento della LIC già dopo 6 mesi a cui si accompagna un miglioramento dei valori di ALT, mentre la MIC è migliorata più lentamente nell'arco dei 12 mesi, evidenziando la necessità di trattamenti di maggiore durata per rimuovere la quantità di ferro dai tessuti cardiaci.
Non sono stati registrati eventi avversi di tipo grave e nessun paziente ha avuto problemi cardiaci, mettendo in evidenza che la scelta di una terapia appropriata può essere di grande aiuto nella gestione del rischio e nel conseguente allungamento dell'aspettativa di vita di questi pazienti. In aggiunta a ciò, il vantaggio di questo studio è dato dall'opportunità di sfruttare la terapia combinata per selezionare i soggetti ad altissimo rischio che necessitano di una rapida diminuzione dei livelli di ferro (pazienti pre-trapianto, donne che affrontino gravidanze programmate e pazienti che non tollerino alte dosi della terapia mono-farmaco).
Seguici sui Social