Protagonisti delle due storie a lieto fine sono un paziente con emofilia e una bambina con aplasia midollare
Secondo una tradizione diffusa in Italia, la sera del 5 dicembre i bambini rimangono a casa ad aspettare che San Nicolò porti loro i doni: quest’anno di regali ne sono arrivati due, grazie alla competenza scientifica e alla solidarietà dell’Italia. Il primo è stata la notizia del primo paziente con emofilia trattato in Italia con la terapia genica, il secondo la riuscita del trapianto di cellule staminali eseguito in Paraguay su una bambina affetta da una grave aplasia del midollo, intervento che è stato possibile solo grazie all’impegno della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (MBBM).
Partiamo dal primo ‘dono’. All’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, per la prima volta in Italia, è stata somministrata la terapia genica ad una persona affetta da emofilia A grave. Il paziente è stato trattato ad inizio novembre e, dopo circa un mese di controlli, risulta essere in buone condizioni di salute. È tutt’ora tenuto sotto stretta osservazione, ma secondo i valori di coagulazione prodotti e, secondo quanto riportato dallo staff del Policlinico, sta conducendo la sua vita regolarmente, senza alcun particolare problema. In queste poche righe si intravede il riflesso non di una vittoria ma di un trionfo su una malattia come l’emofilia A che colpisce circa 5mila persone nel nostro Paese e si manifesta, fin dalla prima infanzia, con emorragie dagli esiti invalidanti in sede articolare e muscolare.
L’emofilia A è una patologia causata dalla carenza di fattore VIII (FVIII), un ingranaggio essenziale della macchina coagulativa per l’attivazione del fattore X. La cascata di eventi che portano alla coagulazione del sangue è una sequenza delicata e complicata che chiama in causa molti enzimi, per cui se anche uno solo viene a mancare il processo si sgretola e il sangue del paziente non coagula. Pertanto, specie nella forma grave, le emorragie si presentano frequentemente e in forma spontanea, mettendo a serio rischio la vita dei pazienti. Grazie alla somministrazione di FVIII ricombinante o di derivazione plasmatica è oggi possibile arrestare o prevenire le emorragie, ma ciò significa che i pazienti emofilici, per tutta la vita, devono sottoporsi anche 3 volte alla settimana alle infusioni. Un trattamento stressante a cui non pochi pazienti decidono di rinunciare.
La terapia genica, invece, tramite specifici vettori virali, prevede l’inserimento di un frammento di DNA corretto nel paziente, favorendo il ripristino della funzionalità dei fattori VIII e IX, con il risultato che i pazienti non devono più sottoporsi alle infusioni e sono liberi di vivere una vita ‘normale’, come già aveva raccontato Salvatore Lo Re, un paziente sottoposto a terapia genica per un’altra patologia ematologica, la beta talassemia. “Negli ultimi 10 anni sono stati fatti notevoli progressi a favore dei pazienti emofilici, ma la terapia più innovativa che ha dimostrato di poter trasformare il trattamento dell'emofilia è proprio la terapia genica”, afferma Silvano Bosari, direttore scientifico del Policlinico di Milano. “I risultati dei nostri studi clinici hanno dimostrato che una singola infusione può consentire a un paziente con emofilia grave di poter raggiungere livelli di FVIII o FIX quasi nella norma e per lunghi periodi di tempo, anche per alcuni anni”.
Questa ottima notizia è stata diffusa mentre molti giornalisti si trovavano a Roma, impegnati nel corso di formazione “Conoscere e comunicare le terapie avanzate: cure rivoluzionarie della ricerca medica”, organizzato da Osservatorio Terapie Avanzate. Un momento d’incontro e aggiornamento su cosa siano e a cosa servano la terapia genica, la terapia cellulare e i trattamenti con le cellule staminali.
E riguarda proprio le cellule staminali la seconda buona notizia della giornata, che proviene dal Paraguay, dove Cecilia, una bambina di 4 anni affetta da aplasia midollare è stata sottoposta a un trapianto allogenico di cellule staminali, ricevendo il midollo dal fratello minore di soli due anni, che è risultato compatibile. L’intervento è stato effettuato presso l’Ospedale Niños de Acosta Ñu ad Asunción, in Paraguay, grazie al contributo di medici e infermieri della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (MBBM) che, insieme all’Associazione Sostegno Ematologia Oncologia Pediatrica (ASEOP) e al Comitato Maria Letizia Verga, ha accompagnato l’Ospedale nella creazione del primo Centro Trapianti di Cellule Staminali Ematopoietiche del Paese e nella formazione dei medici per renderlo operativo e autonomo.
A Cecilia è stata diagnosticata una forma di aplasia del midollo che impedisce la formazione delle cellule staminali e che rischiava di condurla alla morte, provocandole ricorrenti infezioni ed emorragie; grazie alla cooperazione di medici e ricercatori del Centro di Monza, e allo sviluppo di un solido progetto di miglioramento delle conoscenze e di ottimizzazione delle risorse locali, la sua vita da oggi cambiare radicalmente. “Negli ultimi dieci anni il Ministero della Sanità del Paraguay ha compiuto notevoli sforzi per migliorare l'assistenza sanitaria ai bambini con cancro”, afferma Valentino Conter, responsabile della Children Global Medicine. “Oggi, oltre il 70% dei bambini con leucemia linfoblastica acuta sopravvive nel Paese ma, per alcuni di loro, l’unica possibilità di guarigione passa attraverso un trapianto di cellule staminali ematopoietiche”.
Grazie al contributo della scuola italiana e a un buon fondo di ricerca, circa un anno fa sono state gettate le basi per lo sviluppo di un progetto che coinvolgesse infermieri e medici della Fondazione MBBM nella formazione del personale locale, progetto che oggi si è concretizzato in questo straordinario risultato per Cecilia e la sua famiglia. Un motivo di fiducia per tanti altri bambini, giunto in una giornata di attesa che fa sperare che il Natale porti notizie ancor più positive.
Seguici sui Social