Per l’area salute ci sono attualmente 237 ricerche attive, più di 60 sono per malattie rare.
I dati positivi del Biotech italiano nel Rapporto di Assobiotec e Ernst&Young

La cura della salute passa sempre più per i prodotti biotech. Il discorso è generale e può essere applicato a tutte le patologie, ma è particolarmente importante per l’area delle malattie rare. È proprio qui che l’applicazione delle biotecnologie ha portato negli ultimi anni allo studio e alla commercializzazione di farmaci orfani per patologie non avevano terapie o che ne avevano di meno incisive. Il settore che maggiormente ha beneficiato di queste rivoluzione biotecnologica  - in cui la ricerca e le aziende italiane hanno certamente un ruolo di spicco –  è certamente quello oncologico, ma grossi benefici ne sono venuti anche per chi è affetto da malattie ematologiche, immunologiche, neurologiche o da carenze di enzimi. E se beneficio ne hanno indubbiamente tratto i pazienti lo stesso si può dire per l’economia del Paese e l’occupazione del settore: il biotech infatti, trascinato proprio dalla ricerca sui prodotti per la salute, continua a crescere nonostante la crisi. Sono questi alcuni dei positivi risultati contenuti nel Rapporto sulle biotecnologie in Italia 2011 realizzato da Assobiotec ed Ernst&Young in collaborazione con Farmindustria e con l’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE), presentato ieri a Roma.      Per quanto riguarda nello specifico le malattie rare secondo i dati di Farmindustria sono 30 le aziende attive in Italia nel settore biotech: nel 48 per cento dei casi l’impegno verte nel campo oncologico, seguito per il 14 per cento da quello ematologico, dal 10 per cento di quello metabolico per proseguire poi in praticamente tutte le altre aree terapeutiche.
Il 59 per cento di queste sperimentazioni è ormai arrivata alla terza fase, un altro 34 per cento è in seconda fase mentre un numero minore di studi è in fase preclinica o prima fase. Potrebbero sembrare numeri residuali rispetto a quelli a tre cifre che caratterizzano la ricerca dell’intero settore, ma se si tiene conto che la ricerca sulle malattie rare è un’acquisizione recente e che dal 2004 al 2009 le sperimentazioni cliniche per i farmaci orfani sono triplicate nel nostro paese, si riesce invece a cogliere quella che può a buon diritto essere definita come un’eccellenza italiana nel già buon panorama di sviluppo del settore biotecnologica per la salute umana.

Allargando più in generale lo sguardo al settore delle biotecnologie per la salute umana, al di là della ricerca sulle malattie rare – che in ogni caso non è scollegata dalla normale ricerca scientifica su altre patologie – vediamo come questo ramo domina su tutti gli altri. Su un totale attuale di 375 attuali imprese biotech  - che mettono il nostro paese al terzo posto dopo Germania e Regno Unito - 246 si occupano del settore salute. Di queste 141 sono aziende ‘pure biotech’ cioè che lavorano esclusivamente in questo settore. Nel complesso queste aziende stanno portano avanti 237 progetti di ricerca a cui vanno aggiunti 59 progetti attualmente in fase ‘discovery’.
Delle 237 ricerche già cominciate solo 58 hanno già raggiunto la terza fase, mentre 82 sono in fase preclinica e 30 ancora alla prima fase, le restanti 67 in seconda fase. Inoltre se l’Italia è al terzo posto per numero di aziende biotech c’è anche un profilo in cui può vantare un primato, quello della produttività dei nostri ricercatori: il rapporto tra pubblicazioni scientifiche e, appunto, ricercatori, è pari per l’Italia a 44.1 mentre il paese che si piazza per secondo, il Regno Unito, si ferma ad un indice di 35.4.

Per quanto riguarda la tipologia di aziende va infine notato che queste in gran parte la classica distribuzione e caratterizzazione del tessuto imprenditoriale italiano. Tantissime sono, infatti, le piccole e piccolissime imprese del biotech, un buon numero addirittura con meno di 10 addetti: in molti casi si tratta di unità di ricerca che nascono all’interno di parchi scientifici o sono spin-off universitari: la loro distribuzione ancora una volta traccia la mappa di una Italia a due velocità, con un netto predominio del nord, e soprattutto della Lombardia, su tutte le altre regioni, con il Lazio che perde un po’ di terreno anche rispetto alla distribuzione delle aziende ‘tradizionali’ del pharma.




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