Negli Usa ha già avuto l’ok della FDA, è la prima terapia dopo 55 anni

Dopo  l’approvazione all’inizio di marzo negli Usa del  belimumab con indicazione specifica per la terapia del Lupus Eritematoso Sistemico (LES), il farmaco, commercialmente noto come Benlysta, ha ricevuto pochi giorni fa il parere positivo del Chmp dell’Ema. Le speranze di avere a disposizione una nuova terapia, la prima dopo 55 anni, si apre dunque anche per i pazienti europei. Le ultime terapie approvate per la malattia risalgono al 1955 e sono a base di  idroclorochina e idrocortisone. Questo nuovo farmaco, sviluppato da Human Genome Sciences e GlaxoSmithKline, è invece un anticorpo monoclonale completamente umano che riconosce in modo specifico e inibisce l'attività biologica dello stimolatore dei linfociti B o BLyS.  Il BLyS è una proteina necessaria affinché i linfociti B maturino e diventino plasmociti. Questi ultimi producono gli anticorpi, la prima linea di difesa dell'organismo contro le infezioni.   
Si ritiene che nel lupus e in talune altre malattie autoimmunitarie alte concentrazioni di BLyS contribuiscano alla produzione di autoanticorpi che aggrediscono e distruggono i tessuti sani dell'organismo stesso. La presenza di autoanticorpi sembra essere correlata alla gravità della malattia.
Studi preclinici e clinici suggeriscono che belimumab possa ridurre le concentrazioni di autoanticorpi nel LES. Il prodotto è somministrato per via endovenosa a una dose di 10 mg/Kg. La terapia prevede che le prime tre somministrazioni siano distanziate tra loro di due settimane, mentre quelle successive hanno una cadenza mensile.    
L'approvazione si basa sui dati di due studi di fase tre, denominati BLISS-52 e BLISS-76 che hanno arruolato complessivamente 1.684 pazienti con LES.
Questi studi hanno confermato l'efficacia del farmaco nella riduzione dell'attività della malattia e nella riduzione del consumo di prednisone. In uno di questi studi il farmaco ha migliorato i sintomi della terapia nel 43 per cento dei pazienti verso il 34 per cento osservato con il placebo. Nel secondo studio i dati sono stati meno positivi, ma evidentemente non tanto da far desistere le massima autorità sanitarie dall’aprire comunque una strada  ad una nuova terapia per una terapia che, pur non essendo rara dal punto di vista strettamente numerico, paga comunque il peso di una non perfetta conoscenza dei suoi meccanismi e della mancanza di terapia specifiche in grado di fermare del tutto la malattia.

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