Paolo G. Casali (Istituto Nazionale Tumori di Milano): “l'obiettivo è soddisfare la più importante richiesta del paziente con tumore raro, che è sapere a chi rivolgersi”
L’impegno politico nei riguardi di temi di interesse mondiale ha spesso prodotto decisioni rilevanti, come nel caso della Conferenza di Rio sui Cambiamenti Climatici, le cui conclusioni si sono concretizzate negli accordi per la riduzione del cambiamento climatico. Nell’ambito della salute, un esempio folgorante è stata la conferenza sulle Reti di Riferimento Europee (ERN), tenutasi nel marzo scorso a Vilnius. A più di sei mesi da quell’incontro è nata in Italia la prima Rete Nazionale dedicata ai Tumori Rari, che si propone di riunire in un unico ecosistema tutti i centri di riferimento per le varie neoplasie dispersi sul territorio italiano, agevolando la creazione di percorsi rapidi, chiari ed efficienti che i pazienti siano in grado di seguire, guadagnando tempo prezioso sia in fase di diagnosi che di trattamento.
Il delicato iter che ha portato alla nascita della Rete Nazionale dei Tumori Rari è iniziato circa un paio di anni fa, grazie all’opera dell’Intergruppo delle malattie rare, coordinato dall'On. Paola Binetti, che ha presentato alla Camera dei Deputati una mozione condivisa con Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e discussa in sessioni plenarie, insieme ad altre cinque approvate il 3 dicembre 2015 (n°1-1075, n°1-01063, n°1-01073, n°1-01079 e n°1-01074) nelle quali si impegnava il governo a formalizzare la Rete nazionale dei Tumori Rari definendo i criteri per l'accreditamento dei centri di riferimento ed assicurando un accesso più agevole all'uso compassionevole dei farmaci attraverso l'aggiornamento del decreto ministeriale dell’8 maggio 2003 (“Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica”) grazie a cui, per la prima volta, è stato assicurato il diritto ai pazienti di utilizzare farmaci che abbiano superato solo la prima fase di sperimentazione (quella sulla sicurezza).
L’approvazione delle mozioni ha portato il Ministero della Salute alla costituzione di un Gruppo di lavoro che si occupasse della definizione del progetto per la creazione della Rete dei Tumori Rari e dell’aggiornamento del decreto ministeriale sull’accesso all’uso compassionevole dei farmaci in sperimentazione e, al termine di un inteso periodo di lavoro, questo stesso Gruppo, di cui ha fatto parte anche Favo, ha stilato un documento prodotto al Ministero della Salute, condiviso con le Regioni e recepito nell'Intesa Stato-Regioni del 21 settembre 2017, che ha portato all’istituzione della Rete Nazionale dei Tumori Rari, con l’individuazione dei Centri italiani di maggior esperienza sui tumori rari inseriti nelle ERN (European Reference Networks) e all’approvazione del nuovo decreto “Disciplina dell'uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica”, pubblicato in G.U. il 2 novembre 2017.
"Il grande risultato ottenuto con questi provvedimenti a sostegno dei malati di tumori rari – spiega il prof. Francesco De Lorenzo, presidente Favo – acquista ancora più valore perché incardinato in un contesto di iniziative concrete determinate a livello europeo attraverso la costituzione di una rete di centri di riferimento in grado di assicurare ai malati di queste neoplasie l'accesso ai migliori centri di riferimento per ciascuna patologia. Inoltre, l'aver assicurato a questi pazienti l'accesso all'uso compassionevole dei farmaci può rappresentare in molti casi un salvavita".
Particolarmente sensibile a queste tematiche, l’Associazione Favo, in collaborazione con l’Intergruppo Parlamentare Malattie Rare, ha organizzato solo pochi giorni fa alla Camera dei Deputati un Convegno Nazionale sul tema “Tumori rari: la domanda dei pazienti, la risposta delle istituzioni”, nel corso del quale sono stati divulgati i numeri di queste patologie che, oltre alle forme rare dei tumori a maggior frequenza comprendono tumori neuroendocrini ed endocrini, tumori ematologici e sarcomi. Nel nostro Paese sono circa 900.000 le persone che convivono con una diagnosi di tumore raro e ogni anno i nuovi casi registrati sono quasi 89.000, arrivando a rappresentare circa il 25% di tutte le neoplasie. Un numero troppo alto per poter essere trascurato e che comporta problematiche pesanti. Innanzitutto, nel 40% dei casi di tumore raro la prima diagnosi risulta inadeguata e necessita di una conferma che possa arrivare da centri di riferimento (troppo scarsi e non sempre facilmente identificabili), con un aggravio economico non indifferente sui pazienti e sulle loro famiglie. Problemi emergono anche in fase di trattamento, con percorsi terapeutici spesso intricati e poco chiari. Tutti questi fattori influiscono sul dato più pesante per i pazienti, una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi del 55%.
Il primo obiettivo della Rete deve essere, pertanto, quello di rispondere ai bisogni del paziente. Quindi è necessario potenziare e dare forma alle collaborazioni inter-istituzionali, riprogrammare gli investimenti, ottimizzandoli e puntandoli sulla specializzazione dei reparti e, al contempo, sostenendo la ricerca. Infine, è imperativo giungere alla realizzazione di canali di informazione affidabili e intuitivi per i pazienti.
La creazione della Rete Nazionale dei Tumori Rari, secondo Paolo G. Casali, dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano, potrà soddisfare "la più importante richiesta del paziente con tumore raro, che è sapere a chi rivolgersi, e implementerà la più rilevante soluzione al problema della qualità di cura nei tumori rari, che è la collaborazione in rete. L'integrazione della Rete nazionale tumori rari con le Reti oncologiche regionali, a fronte di servizi di teleconsultazione forniti da reti professionali, dovrebbe massimizzare il numero di malati raggiunti, oltre a costituire un modello organizzativo fortemente innovativo".
La multidisciplinarietà è la chiave di lettura di questa imponente operazione, ma non bisogna dimenticare che uno dei cardini principali è rappresentato dalla voce dei pazienti che, sostenuti dalle Associazioni, si presentano come protagonisti attivi e partecipi alla creazione e al miglioramento dei percorsi diagnostici e terapeutici per le patologie che li riguardano.
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