Intanto le società di ginecologia chiedono allo Stato una precisa regolamentazione
La fecondazione eterologa è una pratica lecita e chi la pratica non rischia di incorrere in sanzioni. Sarebbe questa la posizione dei vertici del ministero della Salute, dirigenti che ricordano però la necessità di approvare una legge nazionale in grado di garantire la sicurezza dei trattamenti, lo stanziamento di finanziamenti e la limitazione di eventuali disparità territoriali. Nei corridoi del Ministero si ha piena consapevolezza del rischio di scatenare il caos, diverse Regioni hanno infatti chiarito di voler riprendere gli impianti di ovuli fecondati senza attendere la pubblicazione di nuove linee guida.
Vanno recepite, fanno presente le stesse fonti ministeriali, le normative europee che stabiliscono i test per la selezione del donatore, in base ai quali le Regioni potranno autorizzare i centri con criteri uniformi a livello nazionale ed europeo dal momento che è l'Europa a chiederci il rispetto di certi requisiti minimi comuni in questo ambito. Una questione per cui però il ministro Lorenzin ha sempre ritenuto necessaria una legge, e non sufficienti delle linee guida. La tensione sul tema potrebbe però impedire una rapida istruttoria legislativa a Camera e Senato, con il rischio concreto che continuino a perpetrarsi disparità tra chi può permettersi di rivolgersi a strutture private e chi deve fare affidamento sul Servizio sanitario nazionale.
Intanto, arriva un preciso appello da parte della comunità medica. “Stato e Regioni si adoperino per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l'uguale godimento di diritti, libertà, servizi nel pubblico e nel privato”. Questo il contenuto di un documento sottoscritto dai presidenti delle principali associazioni e società scientifiche di ginecologia Vito Trojano (Aogoi), Paolo Scollo (Sigo), Nicola Colacurci (Agui) e Cristoforo De Stefano (Sios). “In assenza di linee guida o regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale – sottolineano i ginecologi – vi possono essere attuazioni disomogenee delle singole Regioni (e anche tra il pubblico e il privato) che possano causare proprio quella disuguaglianza di trattamento dei cittadini cui ha inteso ovviare la Corte Costituzionale con la recente pronuncia”. Per le società scientifiche serve anche un'intesa Stato-Regioni sul versante dell'aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza, ma soprattutto, “le attuali profonde diversità economiche, sociali e organizzative tra le Regioni e tra il Ssn pubblico e la sanità privata devono essere fronteggiate con una regolamentazione attuativa tesa a prevenire ed eliminare qualsiasi discriminazione dei cittadini, trovando doverosi e ragionevoli punti di equilibrio”. “Tutto ciò - conclude il documento - giustifica lo sforzo delle Regioni di intraprendere percorsi omogenei secondo gli strumenti regolatori che lo Stato deve rapidamente e scrupolosamente assicurare”.
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