Il beneficio andrebbe alle terapie per cui sia poi approvato l’uso pediatrico o per una nuova malattia rara

Chi abbia letto il libro “The Cure” del premio Pulitzer Geeta Anand o abbia avuto modo di vedere il film “Misure Straordinarie” che dal libro è stato tratto, si sarà fatto un’idea di quanto sia difficoltoso arrivare ad ottenere la cura per una malattia rara. Al mondo esistono tra le 7000 e le 8000 malattie rare e il numero di pazienti da esse colpito sta crescendo nel tempo. In alcuni casi si tratta di malattie incurabili ma in altri il problema è legato alla mancanza di farmaci specifici per fronteggiarle: i farmaci sviluppati appositamente per trattare le malattie rare assumono la designazione di farmaci orfani.

Guardando con attenzione i numeri si è potuto comprendere che i pazienti colpiti da una malattia rara sono più di quanti si pensava (oggi in America sono più di 30 milioni) e la loro gestione passa attraverso cicli di ospedalizzazione che gravano sia sul sistema sanitario che sui pazienti. Ma soprattutto, non è ammissibile che si crei una differenza tra i pazienti affetti da malattie rare e gli altri. Questo ha indotto il governo e le istituzioni a darsi da fare per fornire alle case farmaceutiche e alle società di biotecnologia gli incentivi di cui avevano bisogno per dedicarsi allo sviluppo di nuovi farmaci. Con questo intento, gli Stati Uniti nel 1983 hanno promosso e adottato l’Orphan Drug Act (ODA) che sancisce lo status legale dei farmaci orfani, definendoli come prodotti farmaceutici o biologici indicati per il trattamento di una malattia rara, per i quali, tuttavia, ci si attende un ammortizzamento dei costi di sviluppo e distribuzione derivato dalle vendite sul territorio nazionale. In quest’ottica, l’ODA si estende anche a dispositivi medici e prodotti dietetici e agevola le aziende che si dedicano alla ricerca, favorendo l’elargizione di crediti di imposta sui costi delle sperimentazioni cliniche, fornendo assistenza nella formulazione di richieste di approvazione all’immissione in commercio e garantendo una commercializzazione esclusiva per 7 anni, durante i quali l’FDA non approverà altri farmaci con la medesima indicazione clinica, a meno che non si tratti di prodotti “clinicamente superiori” a quello già approvato. L’ODA si è rivelato un grande successo e ha favorito l’approvazione di 511 farmaci orfani negli ultimi 30 anni (alcuni con più di un’indicazione), a fronte dei 38 approvati nel periodo precedente alla sua introduzione. A trent’anni di distanza però le malattie rare per le quali manca una cura sono ancora molte ed è importante capire quali siano gli aggiornamenti all’ODA che potranno favorire ulteriormente la ricerca in questo settore.

In una recente pubblicazione su ACS Medicinal Chemistry Letters Annette Kwork e Fabian Koenigbauer hanno analizzato le proposte che intendono incentivare lo sviluppo di nuovi farmaci e favorire la ricollocazione di quello esistenti. Il 21st Century Cures Act (CCA) è una proposta di legge che, con la disposizione OPEN (Orphan Product Extension Now), estende di altri 6 mesi l’esclusività di mercato per farmaci già approvati, se la casa farmaceutica ottiene l’approvazione per una nuova indicazione di trattamento di una patologia o di una condizione rara. In pratica, se il farmaco si rivela utilizzabile anche per contrastare una malattia rara, oltre all’indicazione per il quale è stato approvato, l’esclusività di commercializzazione può subire un allungamento di 6 mesi. Anche l’OPEN ACT (Orphan Product Extension Now Accelerating Cures and Treatment act), in maniera simile al precedente, offre 6 mesi di estensione dell’esclusiva di commercializzazione e si rivolge sia ai farmaci orfani che ai farmaci biologici.

Trent’anni fa la politica intrapresa dagli Stati Uniti ha fatto da traino all’Europa e a paesi come Giappone, Australia e Singapore che, successivamente, hanno elaborato programmi per favorire l’approvazione di nuovi farmaci orfani, aumentandone in maniera tangibile la disponibilità sul mercato, tanto che negli ultimi anni i farmaci orfani sono arrivati a rappresentare più di un quinto di tutte le nuove formulazioni. Oggi, le proposte descritte servono a stimolare ancor di più la ricerca, rivolgendosi anche ai farmaci pediatrici, visto che la maggior parte dei farmaci non risulta essere approvata per l’impiego sui bambini. Le disposizioni note come BPCA (Best Pharmaceuticals for Children Acts) e PREA (Pediatric Research Equity Act) si propongono di seguire l’esempio dell’OPEN ACT e di garantire ulteriori 6 mesi di esclusività, sia a livello brevettuale che commerciale, se un farmaco risulterà essere sicuro anche per utenti più giovani. Quando l’OPEN ACT e la disposizione OPEN del CCA diventeranno legge, le cause farmaceutiche e le società di ricerca potranno ancora beneficiare del percorso garantito dall’ODA (che garantisce 7 anni di esclusiva commerciale se il farmaco sviluppato risulterà efficace anche contro una malattia rara) o del percorso OPEN (grazie a cui ci sarà una protrazione di 6 mesi dell’esclusiva per l’indicazione iniziale). Con ciò si vogliono studiare l’efficacia e le possibilità di utilizzo di molti farmaci nel contrastare le principali malattie rare, limitando i costi e stimolando le biotech e le grandi società farmaceutiche a non abbandonare certi filoni di ricerca che, per coloro che sono afflitti da patologie rare possono fare la differenza.

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