SASSARI – Gli interferoni (IFN) sono delle proteine prodotte dall’organismo in risposta alle infezioni virali (e anche ad altri stimoli). Gli IFN si legano a speciali recettori sulle cellule bersaglio, e questo legame fa scattare una serie di segnali, che dalla membrana citoplasmatica arrivano al nucleo della cellula, dove attivano centinaia e centinaia di geni cellulari, con produzione di numerose proteine, che sono gli attuatori dei molteplici effetti dell’interferone, la cui entità può variare tra cellula e cellula e tra individuo e individuo, e ciò si può riflettere su differenze nella sensibilità alle infezioni virali.
La prof.ssa Antonina Dolei, del Dipartimento di Sciente Biomediche dell'Università di Sassari, con altri tre colleghi ha pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Cytokine & Growth Factor Review e ci ha aiutato a capire meglio il ruolo di queste proteine.
“Esistono vari IFN: i principali sono di Tipo I (IFNα e IFNβ), Tipo II (IFNγ) e Tipo III (IFNλ). Tutti inducono uno stato di difesa nelle cellule, soprattutto intorno al sito di infezione, che limita la disseminazione del virus. Essi modulano le risposte dell’immunità innata, promuovendo la presentazione dell’antigene e l’attività delle cellule natural killer, e controllano la produzione di citochine e i processi infiammatori. Inoltre, stimolano anche l’immunità acquisita, cioè la produzione di risposte dei linfociti T e B antigene-specifiche”, spiega la prof.ssa Dolei.
“Gli IFN hanno anche effetti antiproliferativi, e possono indurre autofagia in cellule tumorali. Sono modulatori pleiotropici della risposta biologica, che possono indurre un ampio spettro di effetti: antivirali diretti, cellulo-modulanti, immunomodulanti ed altri ancora, regolando il ciclo cellulare, il differenziamento cellulare, la presenza di importanti molecole sulla membrana cellulare, il rilascio di mediatori biologici, citochine, chemiochine, ed altri fattori, che sono importanti per la proliferazione cellulare, l’immunità innata ed acquisita, l’emopoiesi, l’angiogenesi e numerose altre funzioni dell’organismo”, continua la professoressa.
Gli IFN hanno un ruolo protettivo nelle infezioni virali acute, e possono avere un ruolo protettivo o dannoso nelle infezioni batteriche e nelle malattie autoimmuni (ad es. gli IFN di tipo I sono benefici per la sclerosi multipla, mentre la somministrazione di IFNγ la aggrava). L’efficacia antivirale degli IFN è straordinaria; perciò i differenti virus hanno sviluppato numerose strategie molecolari per contrastare l’induzione dei vari tipi di IFN durante le infezioni, e/o l’induzione o l’attività delle molecole effettrici dello stato antivirale.
“Nel corso dei decenni è stato dimostrato che gli IFN hanno una moltitudine di effetti, a volte anche contrapposti (come Giano bifronte) con sinergie ed antagonismi tra i vari IFN. Data la moltitudine di geni attivati, lo stesso tipo di IFN può causare anche effetti opposti, in relazione alla durata e alle dosi, e gli IFN (anche quelli usati in terapia) possono avere effetti sia benefici che negativi, a seconda del contesto clinico”, sottolinea la prof.ssa Dolei.
“L’entità della risposta interferonica e la suscettibilità alle infezioni possono variare anche in base alla diversità genetica, alla presenza di eventuali polimorfismi e mutazioni; variazioni genetiche ed epigenetiche dei geni per gli IFN e in quelli della trasmissione del segnale e delle proteine effettrici della risposta agli IFN possono anche essere legate a malattie”.
A circa 60 anni dalla loro scoperta, lo studio degli IFN ha contribuito significativamente alla comprensione di molteplici aspetti della biochimica e della biologia cellulare, a partire dalla trasduzione del segnale ai meccanismi biochimici del controllo della sintesi degli RNA e delle proteine, alle basi molecolari della patogenesi virale, portando negli anni Settanta allo sviluppo della prima terapia con una citochina (l’IFN), ora accreditata per la cura di malattie virali, alcune neoplasie e disturbi del sistema immune.
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