Secondo il prof. Giuseppe Novelli (Roma), il riposizionamento dei farmaci è un strategia ottimale per sopperire immediatamente alla mancanza di specifici trattamenti
Genetica. Questa è la chiave per decriptare il codice segreto delle malattie rare. Ed è anche il fulcro di rotazione su cui agisce la leva del trattamento. Dall’individuazione del difetto nel genoma che sta alla base della malattia è possibile mettere a punto una nuova strategia terapeutica che, in diversi casi, può rivelarsi migliorativa per il paziente e, a volte, può addirittura modificare la malattia. Per circa un terzo delle oltre 7000 malattie genetiche rare è stato possibile fare luce sia sul difetto molecolare che sui meccanismi della malattia ad esso riconducibili ma, come spiega dalle pagine del Quotidiano Sanità il prof. Giuseppe Novelli, genetista e Rettore dell'Università di Roma “Tor Vergata", “molto lavoro resta ancora da fare, soprattutto per le patologie la cui causa non è attribuibile a un singolo gene mutato ma a più geni”.
Una delle maggiori conquiste della medicina per trattare patologie innescate da specifiche aberrazioni del DNA è la terapia genica, grazie a cui è possibile correggere l’alterazione a livello del singolo gene. Come spiega Novelli, l'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) definisce un prodotto di terapia genica “un medicinale biologico che soddisfa le seguenti caratteristiche: contiene una sostanza attiva (un DNA modificato) che viene somministrata ad un essere umano con lo scopo di regolare, riparare, sostituire, aggiungere o eliminare una sequenza genetica”.
L’idea è fare del DNA un vero e proprio farmaco, facendone entrare un frammento all’interno della cellula per intervenire su specifiche alterazioni del genoma o introducendo copie funzionali del gene usato per sostituire quello corrotto: tutto ciò allo scopo di ripristinare la sintesi di proteine o enzimi che, quando mancanti, provocano i sintomi della malattia. La principale difficoltà insita in questa tecnica è quella di fare in modo che le sequenze corrette di DNA raggiungano il bersaglio in maniera specifica: i vettori virali sono stati impiegati per lungo tempo per trasferire nell'organismo copie sane di un gene alterato, ma di recente la ricerca sta puntando direttamente alla correzione del gene mutato, attraverso la sostituzione della sequenze di DNA corrotta con un'altra, omologa, introdotta dall'esterno (ossia esogena). Questa tecnica, definita come “gene targeting”, si sta rivelando molto promettente, grazie anche allo sviluppo di tecniche di modifica del genoma come CRISPR-Cas9. La tecnologia di gene targenting è già stata testata con successo in provetta e su molti modelli animali, ed approvata a scopo sperimentale per la talassemia, l’emofilia e altre malattie monogeniche.
Tuttavia, resta il problema di cosa fare per quelle malattie rare la cui causa non è attribuibile a un singolo gene, ma a più geni. Al di là della terapia genica, quindi, è fondamentale poter puntare su una strategia efficace e immediatamente applicabile come quella del riposizionamento dei farmaci, un’idea che si basa sul principio di utilizzo di un medicinale 'vecchio' per nuove indicazioni terapeutiche. Il prof. Novelli spiega che “per le 7000 malattie rare che oggi conosciamo, abbiamo a disposizione circa 400 farmaci approvati per il loro per il trattamento. All’attuale tasso di ricerca e sviluppo di un farmaco, è stato calcolato che ci vogliono circa 500 anni per avere farmaci per tutte le malattie rare! Un orizzonte temporale inaccettabile, per i malati e per gli studiosi di oggi”. Le analisi di bioinformatica e lo studio di modelli animali nei quali riprodurre la malattia costituiscono i metodi di base attraverso cui studiare l’efficacia di vecchi farmaci in nuovi contesti. “Negli ultimi anni, circa il 30% dei nuovi farmaci e vaccini approvati dalla Federal Drug Administration degli Stati Uniti [Food and Drug Administration, N.d.R.] ha riguardato nuove indicazioni per i farmaci esistenti”, spiega Novelli, che cita come principali farmaci esemplificativi di questa linea di pensiero apremilast, talidomide, propranololo, rabeprazolo sodico e sirolimus.
Seguendo questa filosofia, possono essere realizzate sperimentazioni cliniche nelle quali testare con rapidità ed efficienza farmaci noti che potrebbero avere più di un’indicazione clinica, offrendo perciò la possibilità di trattare patologie per cui non esiste ancora una cura specifica. Il supporto delle Autorità Regolatorie, in questo senso, è fondamentale per vigilare su ogni singolo passaggio e per offrire, al contempo, il giusto incentivo alle case farmaceutiche, per fare in modo che investano in un prodotto già noto ma per un utilizzo del tutto nuovo.
La chiave delle innovazioni sono le idee, conclude Novelli, che spiega come il riutilizzo dei farmaci sia un eccellente esempio di innovazione, in grado di rendere estremamente attuale il celebre motto di Lavoisier “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
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