Positivi risultati dalla sperimentazione in tre bambini, trattati direttamente nel grembo materno

Poter prevenire l’insorgenza di una malattia intervenendo in anticipo, specie sui soggetti a rischio, è sempre stato il sogno della medicina. L’idea richiama alla mente la filosofia dei vaccini, ed è stata anche ripresa dal cinema in film come “Gattaca. La porta dell'universo”, nel quale gli individui venivano fatti nascere con un corredo genetico perfetto. Visioni futuristiche a parte, in un articolo pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine, un team composto da ricercatori tedeschi e svizzeri ha messo a punto un sistema per prevenire le manifestazioni fenotipiche della displasia ectodermica ipoidrotica (HED), anche detta sindrome di Christ-Siemens-Touraine.

Questa rara patologia rientra nel gruppo delle displasie ectodermiche, di cui fanno parte anche l’incontinentia pigmenti e le sindromi che insorgono in seguito a mutazioni del gene p63. La caratteristica principale della displasia ectodermica ipoidrotica è la completa assenza, o quasi, di ghiandole sudoripare, oltre ad una forte riduzione delle ghiandole lacrimali e delle mucose dell’apparato respiratorio e digerente. La prima e più drammatica conseguenza della malattia è la febbre alta (iperpiressia), dovuta al fatto che i soggetti affetti non hanno modo di regolare la temperatura corporea attraverso la sudorazione. La HED include altri tratti tipici, quali capelli radi, biondi e sottili, ridotta peluria corporea, mancanza o riduzione di denti (ipo- o a-donzia) che, quando presenti, hanno una forma conica, alterazioni scheletriche facciali con bozze frontali, mento prominente, naso a sella, ipoplasia medio-facciale, iperpigmentazione e presenza di rughe in sede periorbitaria. La malattia ha una modalità di trasmissione recessiva legata al cromosoma X e pochi anni fa è stato scoperto e clonato il gene EDA, responsabile della malattia, che codifica per l’ectodisplasina, una proteina presente in due isoforme (EDA-A1 e EDA-A2) ed espressa a livello dell’epidermide durante lo sviluppo embrionale.

I progressi nella conoscenza delle basi della malattia sono stati fondamentali per sviluppare un approccio terapeutico innovativo, dal momento che la HED ha una mortalità elevata (l’ipertermia è molto pericolosa) e manca ancora di un trattamento efficace. Nell’articolo pubblicato su NEJM, i ricercatori spiegano i risultati preclinici ottenuti iniettando, per via endovenosa in modelli animali, la proteina ricombinante Fc-EDA, composta da un dominio IgG1, ovverosia da un anticorpo, che possa legare il recettore EDAR al fine di correggere il fenotipo della malattia. Non solo: essi mettono in rilievo che la somministrazione direttamente nel liquido amniotico, nel quale è immerso il feto, è in grado di correggere con successo le manifestazioni della patologia. Dato che, nei topi, la metodologia ha ottenuti riscontri positivi, dopo aver eseguito con successo i test tossicologici si è passati alla sperimentazione umana.

Gli autori, quindi, presentano tre casi clinici nei quali questo approccio ha prodotto un risultato apprezzabile, con ripristino della funzionalità delle ghiandole. Il primo e il secondo caso riguardano una donna di 38 anni affetta da displasia ectodermica ipoidrotica legata al cromosoma X, giunta alla 22esima settimana di una gravidanza gemellare e con un figlio già affetto dalla malattia. Nel feto, le ghiandole sudoripare si formano tra la 20esima e la 30esima settimana di gestazione, e ciò ha reso ideale la scelta della paziente per la sperimentazione, che prevedeva una prima somministrazione di Fc-EDA (100 mg per Kg di peso corporeo del feto) alla 26esima settimana, e un’eventuale altra somministrazione direttamente nel liquido amniotico alla 31esima settimana. I risultati sono stati decisamente buoni: entrambi i bambini, una volta venuti al mondo, sono stati in grado di produrre un quantitativo di sudore confrontabile con quello dei soggetti sani. Non sono stati segnalati episodi di febbre alta o problematiche respiratorie che abbiano richiesto l’ospedalizzazione. Inoltre, le immagini radiografiche hanno rivelato la presenza, rispettivamente, di 10 e 8 denti, più del doppio di quelli del primo figlio della donna (5 anni d'età).

Il terzo caso è quello di una donna alla 19esima settimana di gravidanza, alla quale è stata somministrata una singola dose di Fc-EDA nella cavità amniotica alla settimana 26. Una volta nato, il bambino ha mostrato un più lento sviluppo della funzionalità delle ghiandole sudoripare, ma le immagini radiografiche della mascella e della mandibola hanno rivelato la presenza di 9 denti, contro i 2 del fratello maggiore (2 anni d'età).

Tutti e tre i casi presentati hanno confermato l’efficacia del trattamento prenatale con Fc-EDA nel ripristinare la normale sudorazione, che contribuisce alla regolamentazione della temperatura corporea, scongiurando così il rischio di morte. Nessuno dei tre casi (giunti a 14 e 22 mesi d'età) è mai incorso in episodi di ipertermia, confermando la validità del metodo e l’efficacia della modalità di somministrazione, sicura per la madre e per il feto. Sarà fondamentale aggiungere nuovi casi, anche per studiare la durata dell’effetto del trattamento, ma il protocollo impiegato sembra in grado di ridurre i sintomi della malattia prima della nascita, e ha la potenzialità di restituire una buona qualità di vita ai bambini colpiti dalla HED.

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