Malattie neurodegenerative: sviluppi dalla ricerca italiana

Da recenti studi emergono importanti indizi per la comprensione dei fattori che possono contribuire al danneggiamento e alla morte prematura delle cellule neuronali

Tra i fenomeni biologici che contraddistinguono le malattie neurodegenerative, uno dei più importanti è rappresentato dalla formazione di aggregati proteici che, evitando i meccanismi di smaltimento dell’organismo, finiscono per concentrarsi tra le cellule cerebrali, i neuroni, o addirittura all’interno di esse, provocando una serie di danni progressivi. Questo processo patologico è quello che, ad esempio, conduce alla genesi di malattie come quella di Huntington, di Alzheimer o di Parkinson, ma è comunque coinvolto in tante altre patologie neurodegenerative, condizioni che la scienza è alacremente impegnata a comprendere per poter finalmente giungere allo sviluppo di terapie risolutive.

AUTOFAGIA: QUALE RUOLO NELLA NEURODEGENERAZIONE?

In un articolo da poco pubblicato sulla rivista Autophagy, i ricercatori dell’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Napoli (CNR-IBBC) hanno spiegato di aver scoperto una funzione fino a poco tempo fa sconosciuta della proteina DDX11: appartenente alla famiglia delle DNA elicasi, tale proteina è associata all’insorgenza di malattie ereditarie. Infatti, le mutazioni che la riguardano provocano un’instabilità nel genoma che, in certi casi, può predisporre persino all’insorgenza di alcune forme tumorali. Di conseguenza, un’indagine approfondita delle sue funzioni serve a comprendere meglio la patogenesi di malattie come la Warsaw Breakage Syndrome (WABS), una patologia rara contraddistinta da alterazioni nella morfologia dei cromosomi che si traducono in difetti di crescita pre- e post-natale, microcefalia, disabilità intellettiva di vario grado, sordità neurosensoriale, anomalie cardiache e dismorfismi facciali.

Nei pazienti affetti da WABS la proteina DDX11 è mutata”, afferma la dottoressa Francesca M. Pisani, del CNR-IBBC, che ha coordinato la ricerca (clicca qui per leggere l’intervista di OMaR alla dott.ssa Pisani). “La WABS appartiene al gruppo delle coesinopatie, malattie genetiche rare causate da alterazioni del complesso proteico della coesina o delle sue proteine regolatrici, fondamentali perché la divisione cellulare avvenga correttamente”. Con il loro nuovo studio, i ricercatori napoletani hanno scoperto una nuova funzione della proteina DDX11 nella regolazione dei meccanismi autofagici. L’autofagia è un processo catabolico sfruttato dalle cellule per eliminare i rifiuti di scarto (come gli aggregati di proteine disfunzionali) e contribuire, così, al mantenimento dell’omeostasi cellulare. Gli scienziati italiani hanno osservato che, in assenza di DDX11, le cellule perdono la capacità di formare correttamente gli autofagosomi, cioè le strutture incaricate di trasportare i rifiuti cellulari verso i lisosomi per la degradazione. Se questo meccanismo non funziona più la rimozione degli aggregati tossici di proteine è compromessa, come accade, ad esempio, con la proteina huntingtina mutata nella malattia di Huntington. Un altro elemento chiave emerso dallo studio riguarda l’interazione tra DDX11 e la proteina p62/SQSTM1, un recettore fondamentale per selezionare e caricare le proteine e gli organelli deteriorati negli autofagosomi.

Capire come DDX11 regoli l’autofagia potrebbe rivelarsi decisivo non solo per la comprensione delle basi molecolari della WABS, ma anche per lo sviluppo futuro di strategie terapeutiche contro disturbi neurodegenerativi come Parkinson, Alzheimer, atassia con aprassia oculomotoria di tipo 2 (AOA2) e SLA”, conclude Pisani.

DANNI NEURONALI: DALLA RICERCA SULLA SLA INDIZI SU PROTEINE TOSSICHE E MICRORNA

Riguardo alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA), nell’ultimo periodo sono state pubblicate interessanti ricerche italiane. Gli studiosi dell’Istituto di Genetica Molecolare “Luigi Luca Cavalli-Sforza” del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IGM) di Pavia, ad esempio, hanno ottenuto risultati chiave per definire i meccanismi molecolari alla base dell’accumulo di danni al DNA nelle cellule dei pazienti affetti da SLA. I risultati sono stati pubblicati poche settimane fa sulla rivista Cell Death & Differentiation e rivelano come gli aggregati tossici delle proteine FUS e TDP-43, che si accumulano nei neuroni dei pazienti affetti da SLA, impediscono alle cellule di segnalare e riparare eventuali danni al DNA. Un altro esempio del legame tra neurodegenerazione e accumulo di prodotti tossici per la cellula.

Un secondo studio incentrato sulla SLA, apparso sulle pagine della rivista Molecular Therapy Nucleic Acids, ha invece messo in luce un nuovo meccanismo di comunicazione tra le cellule staminali del muscolo scheletrico e i motoneuroni. Coordinati dal prof. Stefano Cagnin, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, e dalla dott.ssa Maria Lina Massimino, ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche, gli studiosi hanno evidenziato come le cellule staminali di topi con la SLA secernano differenti microRNA rispetto a quelle di topi senza la patologia, e che i microRNA prodotti dalle cellule di esemplari murini sani aiutino a produrre un muscolo funzionale. “Tra i microRNA secreti in condizioni patologiche ci sono miR-134 e miR-882 che, mediante azione autocrina, impediscono la produzione di un muscolo funzionale”, spiegano gli autori della ricerca. “Diversamente, miR-26a e miR-431, secreti dalle cellule staminali normali, aiutano a produrre un muscolo funzionale e migliorano il differenziamento dei motoneuroni”. L’idea che una malattia neuronale come la SLA abbia radici anche nel muscolo sta rivoluzionando l’approccio alla ricerca sulla patologia: la complessità della sclerosi laterale amiotrofica è ormai riconosciuta da più voci e il coinvolgimento delle cellule muscolari - inizialmente considerate secondarie - sta acquisendo sempre più peso. In particolare, negli ultimi tempi è emerso chiaramente il ruolo fondamentale della comunicazione tra muscolo e motoneurone: il muscolo invia segnali al motoneurone che influenzano la sopravvivenza, lo sviluppo e lo stato funzionale di quest’ultimo. Quando questo dialogo si interrompe, come accade nella SLA, i motoneuroni possono diventare più vulnerabili e andare incontro a degenerazione. Al centro di questo scambio di segnali ci sono proteine e molecole di RNA, come i microRNA, che viaggiano tra muscolo e motoneurone attraverso piccole vescicole chiamate esosomi. Le cellule staminali del muscolo e i microRNA da loro secreti possono avere ricadute importanti sulla salute dei motoneuroni: approfondire questo meccanismo biologico potrebbe portare allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche in grado di rallentare la progressione della SLA e di altre malattie neurodegenerative.

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