Lo studio italiano pubblicato sull’American Journal of Human Genetics

Nel 2010 i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno identificato una nuova malattia genetica definita Blefarofimosi - Ritardo Mentale in una coppia fratello-sorella. Le caratteristiche dei due bambini hanno permesso di concludere, dopo un confronto con alcuni genetisti clinici europei, che si trattava di un quadro clinico mai osservato in precedenza.

Dopo la pubblicazione di questo studio negli Stati Uniti, sono giunte ai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù le segnalazioni di altre due famiglie, rispettivamente di origine Israeliana e Tunisina.

Questo primo gruppo di pazienti ha consentito di avviare uno studio internazionale nel quale è stato coinvolto anche il laboratorio di genetica dell’Università di Ulm (Germania) che, attraverso una indagine esomica - la parte codificante del genoma - ha identificato il gene-malattia: UBE3B.

La mutazione di questo gene provoca l’alterazione del normale processo di degradazione delle proteine: ciò spiega il coinvolgimento di più organi e apparati in questa sindrome che, oltre ai dismorfismi clinici (particolari caratteri del volto come le palpebre molto ristrette), interessa anche lo sviluppo psicomotorio (difficoltà di alimentazione, ritardo nella crescita, assenza di linguaggio) e il metabolismo del colesterolo.

L’identificazione del gene UBE3B come causa di malattia è interessante anche perché conferma, per la seconda volta nell’uomo, il coinvolgimento di questa famiglia genica in una malattia rara umana, dopo la precedente associazione tra UBE3A e la sindrome di Angelman.

Per il Direttore Scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Bruno Dallapiccola, che ha partecipato sia alla descrizione clinica della sindrome che alla scoperta del nuovo gene, “l’identificazione del meccanismo molecolare responsabile di questa nuova malattia rara non avrà un impatto solo sulla consulenza genetica delle famiglie, ma, considerata l’alterazione metabolica presente in questi pazienti, consentirà di sperimentare potenziali approcci alla terapia farmacologica di questa condizione” .



 

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