Studio dell’Università di Cagliari mette a punto un nuovo approccio di analisi basato sull'indice di omozigosi che potrà essere applicato ad altre patologie e stabilire priorità nello screening

CAGLIARI - La Sardegna, grazie alla posizione isolata e all'alto tasso di matrimoni consanguinei, attrae da tempo l'attenzione dei genetisti, sono infatti molte le malattie che presentano un pattern di diffusione peculiare rispetto al resto del mondo, tra cui la più famosa è la talassemia.
Una nuova ricerca pubblicata su European Journal of Human Genetics, grazie alla collaborazione tra l'Università di Cagliari, la genetica medica del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna e il Max Planck Institute for Psycholinguistics (Olanda) ha calcolato la prevalenza della Malattia di Wilson nella popolazione sarda, attraverso un approccio  innovativo.


La prevalenza, in linea con uno studio precedente, è risultata di 1 malato ogni 2700 persone ed è una delle più elevate mai registrate, nettamente superiore rispetto alla prevalenza mondiale di circa 1: 33000.
Il metodo, chiamato indice di omozigosi (HI), permette di calcolare la frequenza di un certo allele che causa una malattia autosomica recessiva conoscendo il rapporto tra omozigoti (che hanno entrambi gli alleli con la stessa mutazione) e eterozigoti composti (che hanno sui due alleli mutazioni diverse) e il coefficiente di consanguineità in un gruppo di individui affetti dalla malattia.

La Malattia di Wilson è caratterizzata da un accumulo tossico di rame nel fegato e nel sistema nervoso centrale, con conseguenze che variano dall'assenza di sintomi fino ad arrivare a insufficienza epatica, disturbi neurologici e neuropsichiatrici.
La patologia è trasmessa con ereditarietà recessiva ed è causata da una delle 520 mutazioni conosciute del gene ATP7B sul cromosoma 13, che codifica per una proteina addetta al trasporto del rame.
Dallo studio emerge che circa il 70 per cento dei casi di malattia di Wilson in Sardegna è causato da una sola di queste mutazioni, una delezione di circa 15 nucleotidi. Questo fenomeno, chiamato effetto del fondatore, consiste nella perdita di variabilità genetica che si verifica in seguito a prolungato isolamento quando emerge una nuova popolazione a partire da un piccolo numero di individui della popolazione originale.

“L'indice di omozigosi” spiegano gli autori: “può essere applicato efficacemente per studiare quali malatte autosomiche recessive sono più frequenti e per stabilire le priorità di screening e di intervento, come nel caso della Malattia di Wilson in Sardegna. Questa non è una questione di poco conto per le comunità in cui le malattie recessive rare non sono così rare e hanno importanti impatti sociali”.

Da qualche anno, infatti, si studia nell’Isola la possibilità di effettuare una qualche forma di screening per questa patologia: molto probabilmente – suggeriscono delle ricerche - gran parte dei malati Wilson non venendo diagnosticati come tali, sfuggono alla diagnosi e vengono trattati come affetti da epatopatie o neuropatie di diversa natura. Le conseguenze di una diagnosi tardiva, o di una diagnosi che non viene mai fatta sono gravissime per chi soffre di questa patologia. L’accumulo del rame può portare a danni così seri da chiedere precocemente un trapianto di fegato, quando invece una terapia tempestiva per l’eliminazione del rame, praticabile anche in epoca neonatale, può mettere al riparo dalle peggiori conseguenze.

Per ulteriori approfondimenti sulla malattia di Wilson consulta Orphanet.

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