La consulenza genetica per individuare i fattori di rischio rimane essenziale e dovrebbe essere la base per l’utilizzo di qualsiasi tipologia di test
Londra - Un recente studio inglese pubblicato su Clinical Genetics ha indagato l'utilizzo di una nuova concezione di diagnosi prenatale non invasiva (NIPD) nell'identificazione di malattie monogeniche.
Le malattie monogeniche sono dovute a mutazioni che avvengono a livello di un solo gene ed identificarle preventivamente è molto importante. In questo recente studio sono state condotte delle interviste (indagini qualitative) a otto gestanti che presentavano il rischio di mettere al mondo figli affetti da diverse patologie monogeniche: Acondroplasia, sindrome di Apert, Displasia tanatoforica e patologia neuromuscolare.
Dall'intervista è emerso che le donne risultavano positive ad un test accurato, effettuato precocemente. Il grande vantaggio della diagnosi NIPD rispetto a quella effettuata con test invasivi è che, potendo essere condotta entro il primo trimestre di gravidanza, riduce il periodo di incertezza diagnostica vissuto dalle gestanti.
Per tutte quelle donne che non avrebbero rischiato di sottoporsi a test invasivi, il test NIPD ha permesso di avere una diagnosi precoce ed è risultato essere addirittura più preciso di quelli basati sull'uso di ultrasuoni.
Nel bene o nel male il test NIPD ha permesso di chiudere l' “odissea diagnostica” e nei casi in cui sono state rilevate delle anomalie le donne hanno avuto modo di prepararsi fisicamente e psicologicamente al momento della nascita dei loro piccoli. La diagnosi NIPD condotta attraverso servizi specialistici è risultata essere più idonea e questo nuovo approccio è stato apprezzato dalle donne tanto da ipotizzare che un'ulteriore indagine circa il punto di vista di tutte le parti interessate potrebbe portare ad un implementazione nell'uso di NIPD e nella sua applicazione ad una più vasta gamma di malattie genetiche.
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