In Italia, il responsabile del Registro afferente al progetto Euro-WABB è il dott. Pietro Maffei dell’Università di Padova

L’acronimo DIDMOAD identifica una rarissima malattia neurodegenerativa che può essere più agevolmente ricordata come Sindrome di Wolfram (WFS), dal nome del medico che, per primo, nel 1938 la descrisse, studiando i membri di una famiglia affetti da atrofia ottica e diabete mellito. In effetti, il diabete mellito e l’atrofia ottica sono solo due delle tipiche manifestazioni cliniche della malattia, alle quali si accompagnano il diabete insipido, importanti deficit uditivi e disturbi neurologici che spaziano dalla depressione cronica ai disturbi dell’umore. Inoltre, gran parte dei soggetti colpiti da WFS può andare incontro a disfunzioni gastrointestinali (diarrea o stipsi), crisi epilettiche, problemi renali e affaticamento cronico.  Molto spesso i pazienti con WFS sviluppano anche una qualche forma di anemia (megaloblastica o sideroblastica) o di neutropenia, rendendoli maggiormente esposti a infezioni di tipo batterico o fungino.

Nonostante siano stati descritti solo 300 casi di WFS e che solo nel Regno Unito questa malattia abbia una prevalenza di 1:770.000, stime recenti rivelano che la sua frequenza sia più alta rispetto al passato e questo nonostante si tratti di una malattia a trasmissione autosomica recessiva (entrambi i genitori devono essere portatori del gene mutato per trasmettere la malattia ai figli, riducendo le possibilità al 25%). La WFS è una malattia genetica la cui causa è riconducibile alle mutazioni del gene WFS1 (localizzato sul cromosoma 4p16.3) che codifica per la Wolframina, una proteina del reticolo endoplasmatico che generalmente protegge le cellule dallo stress cellulare. L’alterazione della catena aminoacidica della Wolframina incide sul funzionamento del reticolo endoplasmatico, provocando uno stato di infiammazione in grado di condurre all’apoptosi. Dal momento che l’mRNA codificato da WSF1 è espresso in diversi organi (cuore, cervello, placenta, polmoni e pancreas) è facile intuire come i danni di questa malattia siano particolarmente estesi, con sintomi riscontrabili già nella prima decade di vita che, se non trattati, possono portare a morte prematura.

Nonostante sia disponibile la diagnosi prenatale molecolare, non è semplice effettuare una diagnosi clinica dal momento che la malattia è talmente rara che non tutti i medici la conoscono. Per tal motivo grazie alla collaborazione di medici, scienziati, ricercatori e gruppi di supporto ai pazienti di tutta Europa, è nato il progetto Euro-WABB con l’obiettivo di diffondere informazioni ed elaborare Linee Guida aggiornate sulla WFS, liberamente disponibili ed in grado di fornire un utile supporto al medico, specie nel porre diagnosi differenziale con diabete di tipo 1 e atrofia ottica di Leber. In Italia, il responsabile del Registro afferente al progetto Euro-WABB per le sindromi di Wolfram, Alström, Bardet-Biedl e altre sindromi rare è il dott. Pietro Maffei dell’Università di Padova. Parallelamente, sono stati pubblicati alcuni interessanti lavori che studiano più a fondo la WSF, come quello pubblicato su Orphanet Journal of Rare Disease dai ricercatori del Dipartimento di Psichiatria e Neurologia della Washington University School of Medicine, in collaborazione con il Washington University Wolfram Syndrome Research Group.

Lo scopo di questo studio è stato esaminare in maniera pratica ed oggettiva i disturbi cognitivi e psichiatrici che affliggono questi giovani pazienti, rapportandoli a parametri come età, sesso e presenza del diabete mellito di tipo 1 (TDM1), nel tentativo di identificare marcatori di progressione della malattia per sottoporre ai relativi trattamenti i pazienti nel più breve tempo possibile. Non esiste, infatti, una singola cura per la WFS: i trattamenti terapeutici sono quelli previsti per le singole patologie che caratterizzano la WFS. I dati di 19 pazienti con WSF, confermata da analisi genetica, sono stati raccolti e confrontati con quelli di una coorte di 25 pazienti con TDM1 e di una coorte di 25 individui sani (HC). Nei pazienti con WSF è stato effettuato il dosaggio dell’emoglobina glicata (HbA1c) e del glucosio e tutti sono stati sottoposti a test cognitivi, psichiatrici, comportamentali e dell’odorato. La scala WURS (Wolfram Unified Rating Scale) è stata infine impiegata per una valutare la progressione della malattia.

Non è stato possibile osservare una differenza tra i tre gruppi per ciò che riguarda l’età, il sesso o durata del diabete, mentre è stata rilevata una differenza tra i livelli di HbA1c e di glucosio. Il risultato più importante (e decisamente inatteso) è attinente al riscontro di carenze significative nell’identificazione degli odori e di forti disturbi del sonno. La sfera cognitiva dei pazienti con WFS non è risultata particolarmente compromessa: i disturbi più diffusi sono legati a stati d’ansia (50% dei pazienti con WSF) o ipersonnolenza. Il sonno e l’olfatto sono mediati da complesse interazioni tra tronco celebrale, sistema limbico, ipotalamo e alcune regioni della corteccia, mentre i processi cognitivi più complessi prevedono l’interazione di diverse aree corticali secondo uno schema a “rete”. I risultati dello studio evidenziano la possibilità di distinguere con maggiore accuratezza i pazienti con WFS da quelli di controllo, ricorrendo ai questionari sul sonno (PSQ) o ai test dell’odorato (le disfunzioni olfattive sono spesso presenti in pazienti con patologie neurodegenerative), che possono quindi assumere un importante valore quali marcatori di progressione. Inoltre, il fatto che i pazienti con WFS, contrariamente alla maggior parte dei casi descritti in letteratura, abbiano risposto in maniera soddisfacente ai test psichici, cognitivi e comportamentali, mostrando uno sviluppo neurologico normale, suggerisce la possibilità che questa caratteristica della malattia si sviluppi in una fase più tardiva, con un impatto significativo sulla qualità di vita e sull’accesso alle terapie, in particolar modo quelle anti-depressive.

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