Uno studio giapponese analizza le varianti genetiche della rara patologia

Non è infrequente leggere sui quotidiani della morte improvvisa di giovani atleti che sono venuti meno all’improvviso e nel pieno della giovinezza. Un esempio che ha scosso il mondo del pallone fu quello di Piermario Morosini, che ebbe una crisi cardiaca improvvisa e morì poco dopo in ospedale. In questo caso, come in molti altri, la causa è stata una rara malattia ereditaria del cuore.

Esistono diverse malattie cardiache che insorgono su base genetica tra cui la sindrome del QT Lungo, la Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica, la sindrome del QT corto e la sindrome di Brugada. La sindrome di Brugada è una malattia genetica definita da un’alterazione dell’elettrocardiogramma data da un sopraslivellamento convesso ad andamento discendente e onda T negativa nelle derivazioni V1-V3 del tracciato elettrocardiografico. Esistono altre due alterazioni (tipo 2 e 3) ma, contrariamente a quella di tipo 1 appena descritta, non hanno valore diagnostico.

Per comprendere al meglio l’origine di questa malattia è necessario recuperare alcuni cenni di fisiologia medica: la chiave di comprensione di un tracciato elettrocardiografico normale è legata al concetto di potenziale d’azione, che consiste nel cambiamento del potenziale di membrana in seguito ad uno stimolo. I potenziali di membrana sono determinati dalla concentrazione di ioni specifici che entrano o escono dalle cellule in momenti precisi e grazie alla presenza di pompe ioniche. La contrazione cardiaca è il risultato di una sequenza di 5 passaggi che coinvolgono alcuni ioni essenziali (sodio, cloro, calcio e potassio). Pertanto, le tipiche onde di un elettrocardiogramma (P, QRS e T) corrispondono ai momenti di depolarizzazione atriale e ventricolare e successiva ripolarizzazione, con ristabilimento dei potenziali di membrana a riposo delle cellule.

La sindrome di Brugada si presenta con alterazioni che riguardano sostanzialmente il tratto ST, ha una prevalenza molto più alta nei paesi del sud-est asiatico (12/10.000) rispetto ai paesi occidentali (5/10.000) e insorge generalmente intorno ai 40 anni, preferenzialmente in soggetti di sesso maschile. Nonostante la Sindrome di Brugada si osservi in individui con cuore normale, essa si accompagna a episodi di fibrillazione ventricolare e morte improvvisa, tanto da essere responsabile di circa 1 decesso su 5 tra i soggetti con cuore strutturalmente normale. Tra i fattori di rischio, oltre all’ECG di tipo 1 – che può presentarsi in maniera intermittente ed è perciò più difficile da individuare – e alla presenza di sincope, l’insorgenza di aritmie maligne è un aspetto che merita attenzione perché collegato agli episodi di fibrillazione ventricolare e atriale.

Alla base di questa patologia ci sono alcune pesanti disfunzioni genetiche che riguardano i canali ionici. La sindrome di Brugada è, infatti, una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante e penetranza incompleta ma, nonostante l’impronta familiare, è difficile valutare come fattore di rischio la familiarità, dal momento che più del 60% dei casi sono sporadici. D’altro canto anche se la prima mutazione individuata in tale sindrome è a carico del gene SCN5A che codifica per i canali del sodio, essa si riscontra in appena il 20-30% dei pazienti con sindrome di Brugada. Questo evidenzia due precise necessità mediche legate alla malattia: l’individuazione dei soggetti a rischio e l’approfondimento genetico della malattia.

Quest’ultimo aspetto è il perno del lavoro pubblicato su Journal of Human Genetics da due ricercatori del Dipartimento di Cardiologia dell’Università di Niigata, in Giappone. I due studiosi analizzano le mutazioni a carico dei canali del sodio, del calcio e del potassio, soffermandosi sulle varianti genetiche riscontrate in letteratura e associate alla manifestazione della malattia. Per ciò che riguarda i canali del sodio, Watanabe & Minamino evidenziano che, oltre alla già citata mutazione in SCN5A, gli altri geni coinvolti sono SCN1B, SCN2B, SCN3B, GPD1L, MOG1, SLMAP e PKP2. Le mutazioni in questi geni hanno effetti diretti sulle due subunità (alfa e beta) che formano il canale, determinando un cambiamento di conformazione che impedisce o limita il passaggio degli ioni di sodio. In particolare, è stata riscontrata una mutazione che colpisce il gene SCN10A (codificante per la subunità alfa del canale del sodio) e che è stata associata alla sindrome di Brugada: tuttavia, questa sola mutazione non è sufficiente a determinare l’insorgenza della malattia. In maniera simile a quanto avviene per il sodio, anche per i canali che veicolano gli ioni di calcio sono state trovate mutazioni a carico delle subunità principali (alfa, beta-2 e alfa-2- delta). Si tratta di mutazioni nei geni CACNA1C, CACNB2 e CACNA2D1 che sono molto rare (2-4% dei pazienti con sindrome di Brugada). I canali del potassio sono importantissimi in fase di ripolarizzazione dove il flusso di ioni potassio in uscita contribuisce al ripristino dei potenziali di membrana a riposo. Ne esistono di tre tipi che sono oggetto di diverse mutazioni: quelle dei geni (KCND3 e KCNE3) che codificano le principali subunità dei canali del potassio provocano una caduta di potenziale. Altre mutazioni riscontrate nei geni KCNE5 e SEMA3A provocano un incremento dei flussi di uscita transitori, con un cambio di voltaggio che abbatte il potenziale d’azione. Le mutazioni in KCNJ8/KCNJ11 e ABCC9, invece, sono associate alle pompe di potassio dipendenti dalla concentrazione di ATP e sono state rilevate in una piccola percentuale di pazienti con sindrome di Brugada, ma il loro meccanismo d’azione rimane sconosciuto. Infine, anche uno studio di associazione genome-wide utilizzato per analizzare l’associazione delle principali varianti geniche con una specifica malattia o un tratto sintomatico della stessa, ha confermato la correlazione tra le varanti SCN5A-SCN10A e HEY2 e la sindrome di Brugada.

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