A rischio solo i pazienti con danno renale acuto. L'elemento pericoloso è il gadolinio, uno dei più noti agenti utilizzati per le RM
La sicurezza dei mezzi di contrasto utilizzati in risonanza magnetica è uno dei temi più dibattuti in radiologia. In una medicina che, sempre più, si affida a tecniche di diagnostica per immagini per raccogliere informazioni sulle principali patologie – tumorali e non solo – non è di certo possibile rinunciare ai vantaggi che essi comportano, ma è fondamentale valutarne le modalità e i criteri di impiego con accuratezza e raziocinio. Da qualche anno una 'nuova' malattia rara ha ricevuto le attenzioni dell’universo medico, soprattutto per il suo possibile legame con uno dei più noti agenti di contrasto usati in risonanza magnetica, il gadolino. La patologia in questione è la Fibrosi Sistemica Nefrogenica (NSF, Nephrogenic Systemic Fibrosis), descritta per la prima volta dal dott. Shawn Cowper, che per le sue caratteristiche cliniche la avvicinò allo Scleromixedema.
La NSF si presenta come un disturbo in grado di provocare la formazione di chiazze brune o rossastre sulla cute, spesso in corrispondenza degli arti, dove la pelle tende ad ispessirsi e a diventare più dura, rendendo i movimenti più lenti e difficoltosi e causando dolore ai pazienti. In seguito possono comparire nelle aree colpite anche lesioni e vesciche che si accompagnano a bruciore e prurito. La malattia può interessare anche altri organi, quali polmoni, fegato, muscoli e cuore ed è stato osservato che essa insorge prevalentemente in pazienti affetti da grave insufficienza renale (GFR < 30 mL/min/1.73 m2), con insufficienza renale acuta o in pazienti in attesa di trapianto di fegato. La patogenesi della NFS rimane ancora sconosciuta ma, negli anni e dal confronto di diversi studi, si è rafforzato il legame di causalità tra la malattia e l’esposizione a mezzi di contrasto contenenti Gadolinio, un elemento molto utilizzato per le sue qualità magnetiche ma altamente tossico e che, pertanto, viene legato a sostanze chelanti che ne impediscono il rilascio nell’organismo. Dal momento che l’eliminazione dei mezzi di contrasto avviene attraverso l’emuntorio renale, è facile intuire che i pazienti in cui esso sia compromesso siano esposti ad un maggiore rilascio dello ione libero nell’organismo.
La FDA ha emesso un comunicato di avvertimento nel quale raccomanda di non usare Gadolino o i suoi derivati (Gadopentato dimeglumina, Gadodiamide e Gadoversetamide) in pazienti con danno renale acuto o insufficienza renale cronica e, successivamente, anche l’EMEA ha effettuato una classificazione dei mezzi di contrasto a base di Gadolinio. Di recente, in un lavoro pubblicato su PLOSone, un team di studio cinese ha realizzato una meta-analisi dei maggiori studi clinici sull’argomento, identificando 697 studi clinici sull’argomento e, dopo avene scartati la gran parte per insufficienza di dati o per problematiche legate all’analisi dei risultati, ne ha selezionati 14, principalmente inglesi ed americani, per un totale di 6.398 pazienti.
La revisione dei risultati ha messo in evidenza la forte correlazione esistente tra impiego di agenti di contrasto a base di Gadolinio e insorgenza di NFS. Tuttavia, i ricercatori hanno notato che il rischio di NFS legato all’esposizione a Gadolinio diminuisce sensibilmente negli studi successivi al 2007 rispetto a quelli antecedenti a tale data. Dal 1997 al 2007 sono stati, infatti, riportati più di 500 casi di NFS in pazienti con insufficienza renale di grado severo e ciò ha indotto le principali agenzie di farmacovigilanza a emettere dei comunicati che controindicassero l’uso dei mezzi di contrasto a base di Gadolinio in questa categoria di pazienti. È stato suggerito di valutare la funzionalità renale e anche la storia clinica dei pazienti prima di scegliere il mezzo di contrasto anche se, va sottolineato, che non tutti i pazienti a rischio sviluppano la malattia e ciò ha indotto gli autori a valutare i possibili co-fattori che contribuiscono allo sviluppo della malattia, come l’infiammazione cronica, il danno vascolare provocato da aterosclerosi accelerata e le terapie ad alte dosi di eritropoietina. Concordando con i risultati di uno studio danese, gli autori della meta-analisi hanno concluso che il rischio di NFS appare più alto in pazienti che si sottopongono a emodialisi, rispetto a quelli che si sottopongono a dialisi peritoneale.
Grazie all’intervento della FDA e dell’EMEA si è osservata una diminuzione dei casi di NFS dal 2007 ad oggi e l’allarme scattato qualche anno fa sembra rientrato, ma si sa ancora poco di questa malattia e, pertanto, è necessario mantenere un costante livello di aggiornamento sui mezzi di contrasto e, soprattutto, sugli eventi avversi ad essi legati.
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