ATLANTA (U.S.A.) - La malattia emolitica alloimmune del feto e del neonato è una malattia causata dal legame fra le immunoglobuline G (anticorpi materni trasmessi attraverso la placenta) e gli antigeni ereditati dal padre, presenti nei globuli rossi del feto ma assenti in quelli materni. Le donne antigene-negative (Rh-) possono avere naturalmente degli anticorpi a certi antigeni dei globuli rossi (anti-A o anti-B), o possono sviluppare questi anticorpi come risultato dell'esposizione ad antigeni estranei nei globuli rossi, attraverso precedenti trasfusioni di sangue o in seguito a un'emorragia feto-materna silente durante la gravidanza o al momento del parto.

Gli anticorpi materni, le immunoglobuline G, si legano ai globuli rossi fetali, causando emolisi o soppressione dell'eritropoiesi. Come conseguenza di questa incompatibilità, si rischia l'anemia fetale o neonatale, l'ematopoiesi extramidollare e l'iperbilirubinemia neonatale, e nei casi gravi la conseguente perdita del feto o la morte neonatale a causa di idrope fetale.

Il Dr. Ross Fasano, del Grady Health System Transfusion Services di Atlanta, in un articolo pubblicato sulla rivista Seminars in Fetal and Neonatal Medicine, ha messo in evidenza tutti i progressi molecolari che sono stati ottenuti negli ultimi decenni nella diagnostica prenatale correlata alla malattia.

Le donne Rh negative, dunque, possono sviluppare in gravidanza una reazione anticorpale contro l'antigene D in caso di feto Rh positivo. La somministrazione di immunoglobuline anti-D di routine nel terzo trimestre, in caso di eventi potenzialmente sensibilizzanti e nel post partum previene la produzione anticorpale e quindi la malattia nel feto. L'uso di questa profilassi prenatale anti-D ha nettamente diminuito sia l'incidenza della malattia che la mortalità.

La capacità di identificare gravidanze a rischio di malattia emolitica del feto e del neonato è notevolmente migliorata anche grazie al test molecolare per la zigosità paterna del fattore RhD, e alla diagnostica molecolare fetale non invasiva per individuare l'antigene putativo (in particolare RhD) nei feti che utilizzano DNA libero circolante nel plasma materno.

La genotipizzazione fetale del fattore RhD con l'utilizzo del DNA fetale libero circolante è diventato sempre più preciso per il rilevamento dell'RhD del feto, spingendo alcuni paesi ad attuare l'uso di routine della profilassi prenatale anti-D mirata attraverso programmi di screening di massa delle donne Rh negative in gravidanza. Inoltre, con l'ecografia Doppler dell'arteria cerebrale media per prevedere l'anemia fetale, la diagnostica molecolare fetale non invasiva ha diminuito notevolmente la necessità di procedure diagnostiche invasive nelle gravidanze a rischio di grave malattia emolitica del feto e del neonato.

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