screening neonatale, malattie genetiche

Dopo la pubblicazione del Treat Panel di Screen4Care, un gruppo di ricerca internazionale propone un modello predittivo per la scelta delle malattie genetiche da sottoporre a screening 

Stabilire quali malattie genetiche rare debbano essere incluse nello screening neonatale genomico non è solo una questione scientifica: è una scelta che implica valutazioni cliniche, etiche e di sanità pubblica. Per orientare questo processo, servono strumenti solidi, condivisi e aggiornabili. Il progetto europeo Screen4Care ha recentemente annunciato la definizione di un Treat Panel, una lista dinamica di geni selezionati sulla base di criteri rigorosi di trattabilità, utilità clinica e impatto sulla salute, pubblicato sulla rivista Orphanet Journal of Rare Diseases.

Oggi, quel lavoro trova un ulteriore sviluppo in uno studio pubblicato sulla rivista Genetics in Medicine, che analizza i pannelli genetici di 27 iniziative internazionali di screening neonatale genomico e introduce un modello predittivo in grado di suggerire - in modo oggettivo e adattabile - quali geni includere in base all’evidenza scientifica e agli obiettivi di salute pubblica.

Per comprendere meglio i risultati di questo studio e le loro implicazioni concrete, abbiamo intervistato la prof.ssa Alessandra Ferlini, Professore Associato di Genetica Medica presso l’Università di Ferrara, Direttrice dell’Unità Operativa di Genetica Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara e Coordinatrice del progetto europeo Screen4Care, e il prof. Antonio Novelli, Professore Associato in Genetica Medica presso l’Università Internazionale UniCamillus di Roma e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Laboratorio di Genetica Medica dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Prof.ssa Ferlini, nello studio si afferma che uno dei principali ostacoli alla definizione di un pannello condiviso per lo screening genomico neonatale è la forte eterogeneità tra i programmi esistenti. A cosa si deve questa variabilità e come può essere affrontata in modo sistematico, come avviene nel progetto Screen4Care? 

L’eterogeneità tra i programmi è un fenomeno che conosciamo bene: nasce da differenze organizzative e cliniche, e anche delle diverse organizzazioni dei servizi sanitari dei vari Paesi. Lo screening neonatale genomico è una prospettiva completamente nuova e non è facile adattare le nuove metodiche e capacità diagnostiche al concetto di screening di popolazione. Alcune iniziative utilizzano liste di geni molto estese, altri paesi suggeriscono numeri di geni molti piccoli. I criteri utilizzati sono complessi: alcuni ritengono la disponibilità di un trattamento fondamentale (come lo Screen4Care), altri invece considerano il criterio di “actionability” sufficiente al fine di proporre uno screening genomico neonatale. Il progetto Screen4Care, con la definizione del Treat Panel, ha cercato di affrontare questa frammentazione, proponendo un approccio basato su dati oggettivi: trattabilità, severità, esordio pediatrico precoce e impatto sulla salute. Il nostro studio ci auguriamo rappresenti un passo verso il raggiungimento di un consenso e dimostri che è possibile modellizzare e prevedere, in modo dinamico, quali geni possano essere dinamicamente selezionati.

Nel lavoro pubblicato si parla di un modello predittivo che utilizza 13 caratteristiche per suggerire quali geni includere nei pannelli di screening. Può aiutarci a capire, con un esempio concreto, come funziona questo modello e quali vantaggi offre rispetto alle valutazioni tradizionali? 

Nell’articolo pubblicato su Genetics in Medicine dal Consorzio ICoNS, il modello predittivo che è stato sviluppato si basa su di un insieme di caratteristiche che comprendono, ad esempio, la presenza di un trattamento efficace, la severità della malattia, la sua penetranza, l’età di esordio, l’esistenza di test diagnostici validati e altre variabili. A partire da queste variabili, il sistema è in grado di attribuire un punteggio a ciascun gene in relazione alla sua “opportunità di inclusione” nei programmi di screening. Un esempio concreto è il gene PTPRC, associato a una forma rara di immunodeficienza grave (SCID): pur non essendo presente in molti pannelli, il modello ICoNS lo classifica tra i primi 150 su oltre 4.000, proprio per l’elevata severità della condizione e la disponibilità di un trattamento precoce. 

Prof. Novelli, lo studio mostra che la presenza di una malattia nel RUSP statunitense, ossia nell’elenco federale di tutte le patologie genetiche raccomandate per lo screening neonatale negli USA, la disponibilità di un trattamento efficace e la conoscenza della storia naturale sono i principali fattori che aumentano la probabilità che un gene venga incluso nei pannelli di screening. Può spiegare perché questi elementi sono così rilevanti e come si riflettono nella pratica clinica?

Sono fattori fondamentali perché definiscono “l’azione” di uno screening. Se conosciamo bene la storia naturale della malattia - cioè come evolve senza trattamento - possiamo valutare meglio, e con misure cliniche di “outcome”, il beneficio reale di una diagnosi precoce. Se esiste un trattamento efficace e applicabile fin dai primi mesi di vita in una patologia la cui storia naturale e delineata, allora quella condizione alla nascita potrebbe diventare eleggibile per lo screening, ovviamente una volta soddisfatti i requisiti sopra descritti e il concetto di “trattabilità”. Non è un caso che i geni legati a malattie già presenti nel RUSP abbiano la maggiore probabilità di essere inclusi nei pannelli: sono condizioni su cui c’è un consenso consolidato. Lo studio lo quantifica molto chiaramente: la presenza nel RUSP aumenta del 74% la probabilità di inclusione, la robustezza delle evidenze sulla storia naturale del 29%, e l’efficacia del trattamento del 17%. In clinica, questo significa avere una diagnosi tempestiva che cambia concretamente la prognosi. 

Un altro dato interessante riguarda la discrepanza tra i geni effettivamente inclusi nei pannelli e quelli che il modello considera ad alta priorità. Secondo lei, perché alcuni geni con caratteristiche favorevoli vengono ancora sottovalutati o esclusi dai programmi di screening?

La risposta è complessa e le motivazioni possono essere diverse. Occorre tempo affinché mutazioni in un gene malattia vengano designate con validità clinica, e altrettanto tempo richiede quindi aggiornare un pannello genico. Inoltre c’è un ovvio gap fra evidenze scientifiche e loro traduzione nel sistema salute, cosa che richiede processi decisionali spesso non semplici. Da non dimenticare il ruolo degli Enti regolatori come l’Agenzia Europea per i Medicinali, che dovranno essere necessariamente coinvolti in futuro in caso si trovasse un consenso su un pannello genico a fronte di un’offerta terapeutica articolata e approvata. Il modello proposto nello studio mostra che ci sono geni con caratteristiche ideali per lo screening - come alta penetranza, trattamento efficace, diagnosi precoce possibile - ma che non sono ancora stati inclusi in molti programmi perché non completamente validati dal punto di vista clinico. Questo succede, ad esempio, per condizioni ultra-rare o per geni associati a varianti poco studiate. Il nostro lavoro serve proprio a portare alla luce queste criticità e ad avviare un processo condiviso e basato su un forte razionale basato sull’evidenza. 

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