Cerone (SIMMESN): “Si sta lavorando per superare le differenze regionali. Adesso che siamo in fase elettorale è possibile che la questione resti ancora in sospeso”
Con il prelievo di qualche goccia di sangue si potrebbero individuare fino a 60 malattie metaboliche, alcune di queste così gravi, se non individuate, da portate alla morte in poco tempo. Eppure in Italia questo esame, cioè lo screening neonatale, che dà la possibilità di una diagnosi precoce su patologie spesso trattabili, viene fatto appena sul 25 per cento di questo elenco, dove va bene.
Dove va ‘male’ – e le differenze sono regionali e a volte dipendono anche dalle Asl – ci si ferma a malapena ai tre esami obbligatori a livello nazionale (art.6 della legge quadro 5 febbraio 1992, n.104: ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria. Al di là di queste tre patologie, infatti, la diagnosi tempestiva delle altre malattie metaboliche riconoscibili con screening neonatale si basa ancora su delibere regionali, con conseguenti forti disparità lungo la penisola.
Perchè non tutte le Regioni decidono si allargare lo screening neonatale? La risposta abbraccia l’ambito politico-economico, per la disponibilità di fondi e le attrezzature adeguate per i centri neonatali, e anche il settore professionale, per la disponibilità di personale medico qualificato. “Non basta comprare un macchinario in grado di leggere i campioni dei pazienti per creare un centro diagnostico neonatale. E’ necessaria l’esperienza del personale medico per attuare un vero e proprio programma di screening: in altre parole, non solo il test da effettuare entro la 48ma ora, ma anche la successiva diagnosi, la presa in carico del paziente, l’eventuale trattamento e il follow-up”, chiarisce Roberto Cerone, professore associato della Clinica Pediatrica dell’IRCCS Ospedale Gaslini di Genova e Presidente della SIMMESN (Società Italiana Malattie Metaboliche Ereditarie e Screening Neonatali).
L’esperienza del personale medico riguarda non solo la capacità di riconoscere segnali precoci di disturbi metabolici e l’interpretazione dei risultati ma anche il modo di attutire l’impatto emotivo sui genitori del neonato qualora il risultato del primo test sia positivo. L’estensione dello screening neonatale a un numero maggiore di patologie, infatti, pone le famiglie di fronte alla difficoltà di comprendere molte più informazioni mediche e, di conseguenza, affrontarle con il supporto del medico esperto.
Questo aspetto è stato sottolineato da uno studio statunitense condotto dall’Università della California e supportato dal National Science Foundation, pubblicato su Clinical Pediatrics, in cui sono state osservate le reazioni delle famiglie a uno screening neonatale con esito positivo, in relazione alle modalità con cui lo staff medico ha comunicato il risultato. Una comunicazione verbale, e non telefonica, ed esaustiva, cioè che descriva nei dettagli tutte le possibili implicazioni della malattia metabolica sospettata e l’ipotetico percorso terapeutico da attuare nei mesi successivi: questo sembra essere, secondo i dati raccolti dai ricercatori su 75 neonati sottoposti a screening neonatale tra il luglio 2005 e l’aprile 2009 e afferenti ai 15 centri dedicati in California, l’approccio vincente per supportare al meglio le famiglie.
Gli ospedali americani, seppure esistano delle differenze da uno Stato all’altro, vantano l’applicazione del più esteso programma di screening neonatale, che testa ogni anno 4 milioni di neonati e un’esperienza di oltre mezzo secolo nello sviluppo e gestione della diagnosi precoce sulle malattie metaboliche. Il consenso informato, suggeriscono gli esperti, rappresenta una valida opportunità per informare i genitori del paziente riguardo ai possibili scenari patologici e terapeutici. Negli Usa il consenso informato è obbligatorio, a meno di varianti in qualche Stato e può essere opzionale per motivi religiosi, mentre in Italia è obbligatorio solo per le tre patologie previste a norma di legge ma non per quelle includibili nel test ampliato e comunque rimane su iniziativa regionale. Ad esempio, in Liguria, dove ancora non esiste una delibera regionale ma lo screening neonatale esteso viene già applicato attraverso uno studio pilota dell’Ospedale Gaslini, si è scelto di sottoporre i genitori dei pazienti alla firma del consenso quale occasione per dare loro tutte le informazioni necessarie riguardo le possibili patologie.
Secondo i dati raccolti dall’ultimo rapporto tecnico della SIMMESN sui centri neonatali nazionali, relativo al 2011, lo screening neonatale esteso è ancora ben lontano dall’essere applicato da nord a sud del Paese. Ad oggi solo in Toscana viene applicato per legge mentre in Liguria attraverso uno studio pilota, in Emilia Romagna è stato già allargato a 23 malattie e si ha una copertura parziale in Campania, Lazio, Sicilia. Sardegna e Lombardia hanno ottenuto al momento il sì della Regione ma ne attendono l’attuazione, mentre Piemonte e Veneto sono ancora fermi. Per tutte le altre regioni ancora non si sa nulla di preciso, seppure ci sia del fermento a riguardo. Lo studio è relativo al 2011 e va dunque aggiunto che nel frattempo la Sardegna ha fatto un grande passo avanti portandosi al pari della Toscana, con 40 patologie screenate.
“Si sta lavorando per superare le differenze regionali – prosegue Cerone – Ci sono dei progetti in corso, come quello del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità e molte iniziative anche da parte delle associazioni che tutelano i diritti dei pazienti per migliorare la situazione. Purtoppo non è solo una questione di possibilità cliniche, ma anche politica ed economica. Adesso che siamo in fase elettorale è possibile che la questione resti ancora in sospeso.”
Nell’autunno dello scorso anno Uniamo (Federazione Italiana Malattie Rare) e AISSME (Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie) hanno lavorato alla proposta di inserimento dello screening neonatale allargato nei LEA. Nonostante il pubblico sostegno di aziende, associazioni di categoria e società scientifiche, l’iniziativa ad oggi non è riuscita ad abbattere alcune frontiere politiche.
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