La giovane donna è affetta da una rara malattia che associa un'inadeguata funzione delle ovaie a un ridotto senso dell'olfatto. Da cinque anni ha iniziato il percorso della procreazione assistita
Roma – Giulia oggi ha 30 anni e sa che il nome della malattia da cui è affetta è sindrome di Kallmann. Sa anche che è a causa di questa patologia che non è ancora riuscita ad avere un bambino. La strada per arrivare alla diagnosi, però, è stata lunga: i primi accertamenti sono del 2003, per l'assenza del menarca, poi nel 2005 l'esame olfattometrico evidenzia iposmia, una diminuita capacità di percepire gli odori.
La sindrome di Kallmann, infatti, è una patologia genetica dello sviluppo che associa ipogonadismo ipogonadotropo congenito (una condizione di mancato o parziale sviluppo delle gonadi, ovvero le ovaie nelle femmine e i testicoli nei maschi) a iposmia o anosmia (la perdita dell'olfatto). La prevalenza, probabilmente sottostimata, è di 1 maschio su 8.000 e di 1 femmina su 40.000. La maggior parte dei casi viene diagnosticata durante la pubertà a causa della mancanza dello sviluppo sessuale: nei casi meno gravi, un'adeguata stimolazione ormonale può indurre la pubertà, mentre non è disponibile alcun trattamento per il recupero dell'olfatto.
Nel corso degli anni, i medici prescrivono a Giulia diverse terapie sostitutive ormonali, ma nei periodi di sospensione il ciclo mestruale non arriva mai autonomamente. Nel 2011, finalmente, la donna ottiene una diagnosi, confermata l'anno successivo dall'analisi molecolare: sostituzione in eterozigosi nella sequenza dell'esone 3 del gene FGFR1. Anche suo fratello presenta la stessa sostituzione, ma non manifesta deficit olfattivi.
“Nel corso dell'adolescenza – racconta Giulia – mi è capitato di provare disagio quando tra amiche si parlava di ciclo mestruale e sviluppo, ma essendo per natura molto riservata non ho mai menzionato l'assenza del ciclo. Il problema olfattivo, invece, non è stato rilevante: penso che sia sempre stato presente, fin dalla nascita. Sapevo di avere qualche difficoltà con gli odori e i sapori, ma in famiglia ci abbiamo sempre riso sopra: gli esami hanno confermato il problema, ma per me era una condizione naturale. Per quanto riguarda l'osteopenia, cioè la riduzione della massa ossea, allora la ritenevo trascurabile, e forse non capivo nemmeno bene di cosa si trattasse; ora, invece, ha acquisito importanza: periodicamente assumo vitamina D e calcio per le ossa, ed eseguo la MOC (mineralometria ossea computerizzata)”.
“Ma la problematica più rilevante è stata l'infertilità”, prosegue Giulia. “Da adolescente è stato difficile convivere con questo peso, e per anni non ho voluto parlarne. Poi, intorno ai vent'anni, con l'inizio di una relazione che poteva essere duratura, ho dovuto fare i conti con questo problema. Con tanto coraggio, dopo quasi due anni di relazione, ho detto al mio compagno di questa malattia e delle difficoltà che avremmo potuto incontrare nell'avere un figlio. Avrei accettato un'eventuale sua decisione di concludere la nostra storia sapendo di questa difficoltà, ma volevo essere onesta e permettergli di essere libero di scegliere, in una fase in cui ancora non si parlava di figli. Fortunatamente è rimasto accanto a me e tuttora combattiamo insieme”.
Per Giulia è stata una scelta difficile iniziare questo percorso: nonostante sapesse della necessità di ricorrere alla fecondazione assistita, era spaventata dalla prospettiva di dover realizzare concretamente di non riuscire ad avere figli. “Questo è stato l'ostacolo più impegnativo di questa patologia: attualmente, dopo tre pick up (i prelievi ovocitari) e sei transfer (il trasferimento degli embrioni in utero), non sono ancora riuscita a realizzare il mio desiderio. Ho avuto quattro mancati attecchimenti e due aborti: il percorso è impegnativo soprattutto psicologicamente, e dopo cinque anni inizio a sentirne il peso e il dolore. Tra poco, comunque, inizierò nuovamente le terapie per il pick up. Non ho mai conosciuto altre persone con la sindrome di Kallmann, oltre a mio fratello, e vorrei poter parlare con altre donne affette da questa patologia, conoscere le loro storie di infertilità, sapere se hanno avuto dei figli e dove sono state seguite, nella speranza di poter realizzare il mio sogno”.
Giulia è un nome di fantasia, utilizzato per tutelare la privacy della protagonista della vicenda. Chiunque volesse mettersi in contatto con la donna può scrivere un'e-mail al seguente indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Per approfondire l'argomento, leggi anche "Sindrome di Kallmann: è possibile individuarla in età fetale se si conosce il contesto familiare".
Seguici sui Social