La prof.ssa Maria Luisa Tutino si racconta in un’intervista, tra progetti di ricerca e grandi speranze
“Hanno portato la musica a casa dei musicisti!” Con questo detto, napoletano come lei, la prof.ssa Maria Luisa Tutino riassume la sua storia. Una lunga carriera costellata di successi, ma l’obiettivo principale della sua vita è una terapia per sua figlia, Elettra Yvonne, una splendida bambina di 10 anni affetta dalla sindrome CDKL5, rara patologia genetica caratterizzata da una grave encefalopatia epilettica, assenza di linguaggio, grave disabilità motoria e cognitiva.
Tutino è professoressa di Chimica delle fermentazioni all’Università Federico II di Napoli. La raggiungiamo telefonicamente subito dopo una seduta di laurea. “Sono un biologo molecolare e genetista”, spiega la docente. “La mia vita scientifica cambiò quando, nel 1995 - io allora ero una studentessa di dottorato - il mio tutor Gennaro Marino arrivò da me in laboratorio con una capsula Petri in mano, contenente un ceppo batterico di un rosso meraviglioso, e mi disse ‘vedi tu cosa farne’. Il batterio era lo Pseudoalteromonas haloplanktis TAC125, batterio marino antartico, unico ospite nel quale la proteina CDKL5, quella che il corpo di mia figlia non produce e che causa la sua grave patologia, si produce in maniera ricombinante”.
Allora Tutino non sapeva che quel giorno avrebbe cambiato la sua vita. Da quel batterio, la professoressa ha individuato un plasmide, una molecola di DNA capace di replicarsi indipendentemente dal cromosoma, e sulla caratterizzazione di quel plasmide ha basato 25 anni di ricerca sulla produzione di proteine ricombinanti umane. Quelle proteine che vengono prodotte tramite fabbriche cellulari, come Pseudoalteromonas haloplanktis TAC125, per poter essere somministrate in caso di carenza o assenza, come l’insulina per chi soffre di diabete.
“TAC125 ha un talento spettacolare nel produrre proteine umane – spiega Tutino – e si è dimostrato efficace per produrre, ad esempio, la terapia enzimatica sostitutiva per la malattia di Fabry, rara patologia da accumulo lisosomiale. Mi occupavo quindi di malattie rare già prima dell’arrivo di mia figlia, che oggi ha 10 anni.” Elettra Yvonne è affetta dalla sindrome CDKL5, una malattia rara neurologica causata da una mutazione del gene CDKL5, che così mutato non è in grado di produrre l’omonima proteina. Si tratta di una forma di encefalopatia epilettica grave e quasi impossibile da diagnosticare in epoca prenatale, che si manifesta solitamente durante le prime settimane di vita, con crisi epilettiche farmacoresistenti, e che successivamente è caratterizzata da assenza di linguaggio e disabilità motoria e cognitiva grave. Secondo i dati forniti da CDKL5 Alliance, interessa circa 13.000 famiglie nel mondo, ma ogni anno si registrano circa 750 nuovi casi.
“Elettra è nata a maggio del 2010. Sebbene non abbia presentato crisi epilettiche precoci, mio marito e io avevamo capito che qualcosa non andava bene già dopo 4-5 mesi. Presentava le stereotipie classiche delle mani e a 6 mesi era già chiara la presenza di un disturbo del neurosviluppo. Ci siamo rivolti alla Fondazione Stella Maris e inizialmente fu diagnosticata la sindrome di Rett, come spesso accade con la CDKL5. L’indagine genetica allora non era precisa come oggi, ma si trattò di un errore ed io ne ero convinta. Qualche anno dopo, sempre in Toscana, abbiamo ripetuto l’indagine con una metodica di sequenziamento decisamente più affidabile e in 15 giorni abbiamo ottenuto la risposta che cercavo: CDKL5.”
“La diagnosi è essenziale – prosegue Tutino – perché conosci il tuo nemico, sai contro cosa stai lottando. E poi cambia la prospettiva, ti permette di entrare in contatto con chi può fare qualcosa per cambiare le cose. Io volevo – e voglio – cambiare le cose. Elettra è fortunata rispetto ad altri bambini. Non aver avuto crisi epilettiche per più di cinque anni le ha permesso di acquisire competenze. Cammina, sale e scende le scale, usa il movimento per manifestare il suo interesse, per comunicare. Ma voglio di più per lei e per tutte le bambine e i bambini che, come lei, sono affetti da questa patologia devastante.”
Maria Luisa è stata definita dai suoi colleghi ricercatori “il tipo che non si fa crescere l’erba sotto i piedi”. Non si è mai arresa e non ha mai smesso di cercare una terapia per migliorare la qualità di vita di sua figlia e di tutte le bambine e i bambini affetti da questa patologia. “Nel 2015 ho incontrato la Prof.ssa Ciani, che aveva già ottenuto un grant Telethon per realizzare il modello animale di malattia. Lei stava già lavorando a una terapia proteica sostitutiva: mi è sembrato ovvio proporle di collaborare, considerando che produrre proteine umane, di fatto, è il mio lavoro. Allora compresi la portata della problematica legata alla proteina CDKL5, estremamente particolare.”
“Pensiamo sempre alle proteine come ‘oggetti’ dotati di forma, di una struttura ‘fissa e definita’, ma poi abbiamo scoperto che non è così. Alcune proteine – spiega l’esperta – in alcune regioni della loro struttura, presentano delle ‘zone disorganizzate intrinsecamente’. Tali zone caotiche sono fondamentali per la socialità delle proteine. Questa caratteristica accomuna moltissime proteine essenziali per la neurocognizione: si tratta di una proprietà necessaria ad adeguarsi agli ‘incontri’ della proteina stessa. Un po’ come se fossero dei mediatori culturali che trasmettono segnali diversi in contesti diversi. E la proteina CDKL5 ha una struttura disordinata per 2/3 della sua superficie. Capite bene la difficoltà di riprodurla in laboratorio. Sul modello animale la sostituzione proteica funzionava già ma la produzione delle proteine era un processo lungo e oneroso. Poi abbiamo scoperto che il ‘mio’ batterio riproduce benissimo anche la proteina che manca a mia figlia.”
Nel 2016, Tutino inizia a collaborare con una biotech per lo sviluppo della terapia. La proteina deve essere prodotta, purificata e poi somministrata. Tutto sembra andare per il verso giusto, ma poi si inizia a parlare di terapia genica e della tecnica di editing genomico CRISPR. Le biotech di tutto il mondo iniziano la corsa verso la gene therapy, spostando attenzione e capitali verso questo ambito. “Purtroppo, la terapia di sostituzione doveva ancora affinare l’aspetto della somministrazione e la nostra collaborazione con la biotech si è conclusa. Oggi ho un progetto pilota su una nuova produzione di proteina e spero con tutto il mio cuore di arrivare alla sperimentazione preclinica nel giro di 2-3 anni.”
Per la sindrome CDKL5 sono in fase di studio diverse terapie geniche e anche una strategia terapeutica basata sugli chaperoni molecolari. Quest’ultimo approccio potrà essere usato solo per alcuni pazienti, nei quali la proteina CDKL5 viene prodotta ma contiene un piccolo errore (tecnicamente si parla di mutazioni missenso). Purtroppo anche un piccolo errore può causare la malattia, ma è possibile somministrare dei composti chimici che aiutano la proteina malata a recuperare totalmente o anche in parte la propria funzione [strategia dimostratasi efficace nelle malattie da accumulo lisosomiale, N.d.R.].
“Dal mio punto di vista è fondamentale che si lavori su più fronti. La terapia genica è senza dubbio un obiettivo importante, ma è una terapia ‘one shot’: se l’obiettivo non viene raggiunto o si sbaglia obiettivo non è possibile tornare indietro. Inoltre, nel frattempo abbiamo scoperto che la proteina CDKL5 è prodotta nel cervello in 4 isoforme diverse, ma al momento non siamo in grado di produrre una gene therapy combinata. Mentre con la terapia proteica sostitutiva potremmo - forse - formulare un mix di proteine.”
L'ipotesi della ricercatrice (e sicuramente la sua speranza) è che la somministrazione della proteina possa aiutare a controllare l’epilessia. L’epilessia grave e farmacoresistente non permette ai bambini con sindrome CDKL5 di crescere correttamente, e blocca il loro sviluppo neurocognitivo. È possibile supporre, quindi, che la somministrazione precoce della proteina mancante possa in qualche modo compensare la mancata produzione naturale e migliorare la qualità di vita di questi bambini e ragazzi.
Si tratta di un obiettivo importante, insieme a quello della terapia genica, che vede l’impegno di ricercatori e associazioni di pazienti insieme. Si tratta, però, pur sempre di una malattia rara, le risorse a disposizione sono sempre troppo poche. “La scienza ci insegna – conclude Tutino – che l’approccio alle malattie rare dovrebbe essere multidisciplinare e che dovremmo unire le nostre forze per massimizzare la resa. Se in Europa ci fosse una maggiore visione di insieme, una condivisione delle strategie di successo, potremmo creare una piattaforma unica, comune, per ottenere risultati veloci per tantissime patologie rare diverse. Per me, trovare una terapia per la malattia di mia figlia è una ragione di vita, ma lo è anche dare risposta al maggior numero di pazienti e famiglie possibili. Per un futuro senza più malattie genetiche incurabili.”
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