A causa della condizione, il figlio Andrea è costretto all’uso di un tutore, a continua assistenza e ad assidui cicli di fisioterapia: il tutto a carico della famiglia
A cinque anni, ogni bambino è nel pieno della crescita e dell’energia, e la voglia di correre, saltare e giocare è tanta. Proprio come il piccolo Andrea, di Modugno (Bari), che però deve fare i conti con la malattia di Legg-Calvé-Perthes (nota anche come malattia di Perthes), che lo ha costretto prima in carrozzina per due mesi, senza poter camminare, e poi all’uso di un tutore, la “staffa di Thomas”, che pesa due chili e mezzo. Dovendo trascinare tutto quel peso con la sua piccola gambina, Andrea non riesce più a camminare da solo, andare in bagno, muoversi liberamente e giocare, e necessita dell’assistenza della mamma tutto il giorno. Il tutto senza la garanzia di un reale beneficio.
Per malattia di Legg-Calve-Perthes (LCPD) si intende la necrosi avascolare mono o bilaterale della testa del femore nei bambini. La LCPD colpisce i bambini tra i 2 e i 12 anni, anche se ha una prevalenza più elevata nei bambini di 5-6 anni, ed è più comune nei maschi. I sintomi iniziali sono di solito l'andatura claudicante, il dolore alle anche, alle cosce e alle ginocchia, e una ridotta mobilità dell'anca. Successivamente si può osservare una discrepanza nella lunghezza degli arti inferiori e un'atrofia muscolare nell'area che circonda l'anca. La fase attiva della malattia può durare diversi anni ed è caratterizzata dalla necrotizzazione parziale o totale della testa del femore e dalla sua progressiva deformazione. Questa fase è seguita dalla formazione di nuovo osso (riossificazione) nelle epifisi e dalla possibile guarigione. La deformità finale può variare da una configurazione quasi normale dell'articolazione a una deformazione estesa associata all'appiattimento e alla sublussazione gravi della testa del femore, all'allargamento del collo del femore e alla deformità/displasia dell'acetabolo, che a sua volta può causare un'osteoartrite a esordio precoce. Sono state suggerite varie concause della patologia: ritardo della maturazione scheletrica, deficit della crescita o crescita spropositata, bassa statura, basso peso alla nascita, traumi, associazione con difetti congeniti. La diagnosi si effettua con le radiografie tradizionali in proiezione frontale e laterale. La scintigrafia e l'ecografia possono essere utili in alcuni casi e la risonanza magnetica può differenziare, nei primi stadi della malattia, la LCPD dalle patologie che interessano le anche. La prognosi è variabile (fonte: Orphanet).
A raccontarci la storia di Andrea è mamma Simona, che ha intrapreso una battaglia personale nei confronti delle istituzioni affinché diano ai bambini affetti da questa patologia un codice di esenzione e facciano rientrare la fisiokinesiterapia tra le prestazioni coperte dal Servizio Sanitario Nazionale.
“Nel dicembre 2020 Andrea ha cominciato a lamentare un dolore intermittente alla gamba sinistra, ma sul momento non ci ho fatto particolare caso perché ciononostante continuava a giocare, saltare e a correre, insomma, faceva una vita del tutto normale”, spiega Simona. “A gennaio ha iniziato a zoppicare in modo strano, eppure non si lamentava, non piangeva e continuava a fare la sua vita attiva, poi di nuovo è tornato a camminare normalmente. Questo zoppicamento, insomma, andava e veniva e ho pensato fosse normale in un bambino come lui, iperattivo, che non riusciva a stare fermo nemmeno un momento. A febbraio, Andrea è rimasto per dieci giorni in isolamento fiduciario a causa di un caso di positività al COVID-19 all’asilo e in tutti quei giorni il piccolo non ha più accennato ad alcun dolore o a zoppicamento: ho pensato che fosse passato da sé. Invece, al rientro all’asilo, le maestre mi hanno avvisato subito che mio figlio aveva ripreso improvvisamente a zoppicare in modo pesante, come se volesse trascinare la sua gambina. Andrea non riusciva a spiegarmi dove gli facesse male esattamente. Così, il giorno seguente, l’ho portato dal pediatra, il quale, dopo una visita accurata, mi ha prescritto un’ecografia e delle analisi per escludere l’artrite”.
“Fortunatamente - prosegue Simona - sono riuscita a prenotare l’ecografia già per il giorno seguente, dalla quale è emerso un copioso versamento di liquido nella gamba e un distacco articolare. Di conseguenza, ad Andrea è stata prescritta subito una radiografia e una visita ortopedica d’urgenza. Il giorno successivo, in Pronto Soccorso, una volta ricevuto l’esito della radiografia mi si è gelato il sangue: la testa del femore sinistro risultava distaccata. È in quel momento che mio figlio ha ricevuto la diagnosi di malattia di Perthes: ci è stato spiegato che Andrea si trovava allo stadio iniziale della patologia, nella fase di necrosi dell’osso, e che dopo un periodo in carrozzina, allo scopo di tentare di salvare l’anca sinistra, sarebbe stato necessario l’uso della “staffa di Thomas”, un tutore fuori produzione da 10 anni (infatti abbiamo avuto molta difficoltà a reperirlo e a trovare dei pezzi di ricambio, dato che si è già rotto ben quattro volte). Si tratta, però, di una cura conservativa, palliativa e obsoleta, che potrebbe anche portare a degli effetti collaterali, come i piedi piatti: per questo motivo, pur essendo in cura presso l’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari, ci siamo recati anche all’Ospedale Regina Margherita di Torino, dove ci hanno detto apertamente che Andrea necessita di un intervento di osteotomia, in quanto la malattia di Perthes e il copioso versamento che da febbraio colpisce l’anca hanno creato una cisti ossea che ostacola la possibilità di una guarigione solo con la staffa o con il riposo. Si dovrà quindi ricorrere a un’operazione molto delicata e ad un periodo di convalescenza e ripresa che, per un bimbo così piccolo, sarà faticoso e doloroso da affrontare. La strada verso la guarigione, insomma, sarà molto lunga”.
“In realtà – si sfoga mamma Simona – abbiamo provato a sentire vari specialisti in diversi ospedali, ma c’è molta confusione sulla patologia di mio figlio, ci sono troppe scuole di pensiero. Inoltre, non esiste una cura vera e propria, si va per tentativi e, per affievolire il dolore, ad Andrea possiamo dare solo dell’antinfiammatorio. Andrea si sottopone a cicli di fisioterapia e fisiokinesiterapia per evitare l’atrofizzazione dei muscoli dell’arto colpito. La fisiokinesiterapia, che è essenziale per la mobilità dell’arto, purtroppo è a pagamento perché non rientra nelle prestazioni coperte dal Servizio Sanitario Nazionale. Non abbiamo ricevuto il riconoscimento della Legge 104/98, nonostante Andrea non riesca a fare più nulla da solo: non è più autonomo e anche all’asilo dev’essere aiutato da una collaboratrice scolastica, anche solo per andare in bagno. Non esiste, insomma, un codice di esenzione per questa malattia, non ci sono centri di riferimento specifici, percorsi specializzati e, soprattutto, delle linee guida comuni per tutti gli ortopedici pediatrici: una situazione, questa, che genera molta confusione anche in noi genitori, che non sappiamo quale sia la via migliore da seguire per il bene dei nostri figli. Non abbiamo alcuna certezza sull’esito della malattia di Andrea e non vogliamo che lui e gli altri bambini con la sua condizione rimangano dei ‘fantasmi rari’. Abbiamo chiesto aiuto all’Associazione Malattie Rare dell’Alta Murgia (AMARAM), che ci ha supportato sin dall’inizio. Stiamo cercando di far sentire le nostre grida alle istituzioni. Nel frattempo - conclude Simona - ho aperto, di mia iniziativa, una pagina Facebook per raccontare, giorno dopo giorno, il percorso di mio figlio Andrea, le cure e le battaglie burocratiche per la fisioterapia, raccogliendo anche le testimonianze di tanti altri genitori che, come noi, affrontano lo stesso dolore”.
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