Un giorno, in un supermercato, una donna ha fermato la sua mamma e le ha chiesto: “Dove l’ha presa? A Chernobyl?” Si riferiva a sua figlia. Un’altra mamma al suo posto sarebbe andata su tutte le furie, invece la mamma di Anita no, lei sorride e risponde: “No, è tutta opera mia”.
Inizia così la storia che Anita ha raccontato a Vanity Fair. Ventiquattro anni, e una forza incredibile, anche grazie alla grande ironia con la quale i suoi genitori hanno saputo affrontare la sua malattia: la Sma, Atrofia Muscolare Spinale, che la costringe in carrozzina fin dalla tenera età.

“Sto pensando al mio prossimo viaggio, - racconta Anita - adoro visitare posti nuovi. Con i miei genitori siamo andati praticamente ovunque: in India, in Danimarca. Per i diciotto anni mi hanno regalato un tour negli Stati Uniti, abbiamo visitato New York, Washington, Philadelphia. E’ stato meraviglioso”.

Le atrofie muscolari spinali prossimali (SMA) sono un gruppo di malattie neuromuscolari caratterizzate da debolezza muscolare progressiva dovuta alla degenerazione e alla perdita dei motoneuroni. In base all'età d'esordio e alla gravità della malattia, sono stati definiti quattro sottotipi che sono caratterizzati da debolezza muscolare e atrofia di grado variabile, che interessa particolarmente gli arti inferiori e i muscoli respiratori.

“Questa malattia si manifesta in diverse forme. I miei l’hanno scoperto quando avevo tra i sette e gli otto mesi, perché non gattonavo. La diagnosi finale è arrivata quando avevo un anno, per loro è stata una doccia fredda, poiché sapevano che si tratta di una malattia invalidante. In più, ventiquattro anni fa le prospettive di vita erano ancora più basse per chi aveva la mia malattia. I medici dissero che sarei arrivata massimo ai due anni di età. All’inizio mamma e papà erano sconfortati, ma poi hanno capito che l’importante non era vedere tutto quello che non potevo e non avrei mai potuto fare, ma quello che potevo fare. Hanno deciso di puntare sui miei punti di forza, e quei due anni di vita che mi erano stati prospettati sono diventati tre, poi quattro, poi cinque, e così via. E più andavamo avanti e più nella mia famiglia regnava la fiducia nel futuro. A casa mia non è mai mancato l’ottimismo”.

Quando aveva tre anni i genitori le comprarono la prima sedia a rotelle elettrica, “così ero indipendente nei movimenti. A otto anni andavo da sola al cinema, e giocavo a calcio con i miei amici in cortile usando al posto delle gambe le ruote della carrozzina”.

Da anni Anita, che sta per laurearsi in psicologia, è in contatto con Nemo ed è delegata regionale della Puglia per l’Associazione Famiglie Sma, nella sua città la conoscono praticamente tutti, a cominciare dal primo cittadino.

“Un giorno - racconta - ero in gita a Lecce e mi sono imbattuta in un parco giochi per bambini disabili. Non ne avevo mai visto uno. Appena tornata a Bari sono andata dal sindaco e gli ho proposto di realizzarne uno nel centro della nostra città, così da permettere anche ai bambini disabili di giocare sulle giostrine. L’Amministrazione comunale ha appoggiato il mio progetto, ma purtroppo con la legge di stabilità i fondi sono stati bloccati. Ho scoperto che le “giostrine accessibili” costano quanto quelle normali, basterebbe che chi progetta i parchi nelle città tenesse conto che esistono e le prevedesse per far felici tutti i bambini”.

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