Le strutture sanitarie inglesi, spesso all'avanguardia, potrebbero non essere più parte delle reti di riferimento europee. Prof. Scarpa: fortissimo impatto anche sulla quantità e sulla qualità ricerca scientifica
La Brexit rischia di avere pesanti ripercussioni anche sui sistemi sanitari dei ventisette Paesi che rimarranno nell'Unione europea dopo l'addio della Gran Bretagna. A farne le spese potrebbero essere anche i malati rari e le loro speranze. Le Reti di riferimento europee (ERN) sarebbero infatti costrette a rinunciare al contributo delle strutture presenti nel Regno Unito; ospedali e centri di eccellenza che negli ultimi mesi avevano già deciso di partecipare fattivamente ai protocolli studiati dalla Commissione europea. Una volontà mortificata dal responso delle urne. Involuzione di non secondaria importanza. Oggi, grazie alla direttiva sulla sanità transfrontaliera, un malato raro ha il diritto di farsi curare da un centro di eccellenza situato in qualsiasi parte dell'Ue. Una declinazione innovativa del diritto alla salute che ha rappresentato una piccola-grande rivoluzione per tantissimi pazienti. Una vicenda che nelle prossime ore sarà al centro di un vertice internazionale ospitato a Lisbona.
Osservatorio Malattie Rare ha parlato con Maurizio Scarpa, responsabile italiano della rete Ern per quanto concerne le malattie metaboliche. Il Professore ritiene doverosa una precisazione: “Ho avuto chiare rassicurazioni dagli organismi comunitari. Al momento le strutture britanniche continueranno a far parte delle Reti transfrontaliere: non ci saranno restrizioni. L'incertezza riguarda solo il futuro prossimo”. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi sarà importante quanto verrà deciso dai rappresentanti del governo britannico e dai capi di Stato e di governo riuniti nei Consigli europei. L'uscita di un Paese dall'Ue non ha infatti precedenti nella storia. Scarpa si augura che non si registrino dinamiche catastrofiche: “Gli Ern potrebbero dover rinunciare all'apporto delle terapie e della ricerca inglese. Solo per quanto concerne le malattie metaboliche dovremmo salutare lo scambio di informazioni con ben sei ospedali”. Secondo Scarpa si potrebbe però continuare a collaborare con le realtà esistenti in Inghilterra, Scozia, Galles ed Irlanda del Nord: “Una soluzione auspicabile sarebbe quella di replicare quanto accade nei rapporti con la Norvegia. Paese estraneo all'Unione europea che aderisce però a tantissimi programmi predisposti a Bruxelles. Una scelta che potrebbe fare al caso degli inglesi. Battere una strada isolazionista sarebbe davvero poco comprensibile”.
L'adesione delle istituzioni di Oslo ai programmi di ricerca e cooperazione europei non è ovviamente a costo zero. La Norvegia contribuisce infatti al finanziamento di larga parte di questi network internazionali. Maurizio Scarpa rimarca che la Brexit rischia di avere un fortissimo impatto anche sulla quantità e sulla qualità ricerca scientifica: “Le università inglesi rischiano di andare incontro a un periodo di forte crisi. Mi basti ricordare che oggi gli atenei britannici si spartiscono da soli il 19 per cento dei soldi stanziati dall'Ue per la ricerca scientifica. Facile pensare che molti centri di eccellenza vadano incontro a una fase di difficoltà, soprattutto in termini di attrattività”. Anche in questo caso, a farne le spese potrebbero essere i programmi di ricerca sulle malattie rare. Il professore italiano azzarda una previsione pur in presenza di uno scenario caratterizzato dall'incertezza più totale: “Il Regno Unito potrà anche decidere di restare attore attivo nei vari programmi di ricerca universitario. Ma cosa succederà nella fase intermedia? Verrà accantonata la partecipazione delle strutture inglesi? Siamo di fronte a problemi molto importanti per tutti. Mi auguro che le istituzioni europee e la politica inglese riescano a trovare risposte adeguate. Fortunatamente, come nel caso delle terapie, nel breve periodo non dovrebbe succedere nulla”.
La Brexit rischia di essere – paradossalmente – un'opportunità per l'Italia. Nelle ultime ore sono stati tantissimi gli appelli per trasferire nel Belpaese la sede dall'Agenzia europea per i medicinali-EMA, ente che ora ha base a Londra. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, il numero uno di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi e parlamentari di ogni schieramento hanno invitato Bruxelles a portare in Italia la più importante istituzione europea che si occupa di accesso al mercato dei farmaci. Sono gli organi dell'EMA, ad esempio, ad assegnare lo status di “farmaco orfano” a un prodotto destinato ai malati rari. Gli stessi a decidere se una terapia particolarmente innovativa merita di poter usufruire di una corsia preferenziale. L'Italia, forte di un comparto farmaceutico all'avanguardia, potrebbe avere quindi buone speranze.
L'uscita della Gran Bretagna dall'Ue rischia comunque di avere un impatto sulle regole in materia di farmaci e farmacovigilanza. Per questo motivo, la federazione delle industrie farmaceutiche europee invita ad evitare scenari incerti. All'indomani del voto britannico, sottolineano i vertici europei del comparto, c'è l'esigenza di mettere “al centro di tutte le decisioni successive il paziente”. “In un momento in cui tutti i soggetti coinvolti nel settore sanitario europeo stanno considerando le implicazioni della decisione del Regno Unito di lasciare l'Unione europea, l'Efpia precisa che “il paziente deve essere al centro di tutte le decisioni successive”. L'Efpia “condivide l'obiettivo comune di garantire un rapido accesso ai farmaci innovativi per i pazienti in tutta Europa, nonché lo sviluppo di un contesto normativo e politico che promuove l'innovazione e sostiene la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci per soddisfare le esigenze dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società. Come industria, nei prossimi mesi ci impegniamo a coinvolgere le parti interessate in Europa e nel Regno Unito a sostegno di questi obiettivi”.
La palla è ora tra le mani dei principali leader continentali. Nei prossimi mesi potrebbe non cambiare nulla per i pazienti. L'importante sarà però prevedere cosa accadrà tra due o tre anni. Il Regno Unito difficilmente deciderà di recidere i ponti con tutti i partner europei. Sarebbe una scelta drastica e insensata. Facile che si delinei una partenership simile a quella che oggi unisce l'Ue alla Norvegia. L'importante, per quanto ci riguarda, è che non vengano accantonati i bisogni dei malati rari e della ricerca sui farmaci orfani.
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