Quelli regionali si stanno sviluppano molto ma la confluenza nazionale è faticosa
‘Il registro nazionale e i registri regionali e interregionali delle malattie rare": era questo il titolo del convegno organizzato il 25 febbraio scorso dal Centro Nazionale Malattie Rare dell'Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di un titolo solo apparentemente generico ma che in realtà racchiude in sé sia quanto di positivo è stato fatto in questi anni che, e forse soprattutto, un problema che sembra non facile da superare: la difficoltà a ‘mettere a sistema’ le diverse esperienze per creare un registro nazionale capace di essere aggiornato.
Il problema, infatti, è che se anche il modello di registro creato dal Veneto funziona ed è stato da molte regioni condiviso, non è l’unico esistente. Ce ne sono altri, comunque validi, come quello della Toscana, che hanno i loro specifici punti di forza: sistemi diversi, difficili da integrare l’uno con l’altro. Inoltre i registri regionali ed interregionali hanno la caratteristica di contenere un maggior numero di informazioni rispetto a quello nazionale – sono più dinamici e seguono più da vicino l’iter del paziente - dati che nel confluire su scala italiana andrebbero persi, quando invece potrebbero risultare utili. Inoltre, mentre le regioni hanno maggiore facilità ad aggiornare i dati – anche, ad esempio, per quanto riguarda il modificarsi della rete dei presidi – a livello nazionale questo risulterebbe necessariamente più lento. Se il registro nazionale doveva essere una ‘fotografia’ della situazione la difficoltà è che il soggetto da ritrarre è in movimento e lo strumento stabile non può che mostrare in maniera sfocata di dettagli.
REGISTRI REGIONALI E PROGRAMMAZIONE SANITARIA
Dunque, se pur il registro nazionale è uno strumento utile, e che va comunque portato a termine nonostante i suoi limiti – come ha sottolineato la professoressa Paola Facchin delle rete delle malattie rare del Veneto – il lavoro a livello di registri regionali ed interregionali è fondamentale. “E’ proprio grazie ai registri regionali – ha spiegato la professoressa Facchin – che si possono raccogliere informazioni puntuali, stabilire e monitorare i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) e soprattutto capire l’impatto delle malattie dal punto di vista dei costi, controllare l’appropriatezza e convogliare risorse verso il trattamento più adeguato. Facendo così si può risparmiare molto, fino a 6,5milioni di euro l’anno per milione di abitanti, cifre che si potrebbero investire, ad esempio, in riabilitazione”. Dai dati presentati emerge, infatti, che il 48% dei malati rari ha una disabilità e che la riabilitazione legata alle malattie rare rappresenta il 10% della spesa territoriale.
E’ dunque abbastanza chiaro che i registri regionali ed interregionali sono uno strumento molto importante, forse anche più utilizzabile del registro nazionale che fin dall’inizio era stato pensato come uno strumento statico e che ha tutt’oggi maggiori difficoltà a mantenersi aggiornato e per questo sarà necessario stabilire sempre migliori procedure per garantire il flusso di dati dal locale al nazionale.
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